31 maggio 2010
Pellegrinaggio a Tindari. Carmelo Bonvegna ha detto la sua
Alcuni mesi
addietro avevamo invitato a scriverci quanti avessero avuto ricordi, aneddoti
legati al pellegrinaggio alla Madonna del Tindari che si celebra ogni
seconda
domenica di maggio. Eravamo rimasti delusi non essendoci pervenuta nessuna
comunicazione. Volevamo solo raccontare, volevamo solo ricordare degli
avvenimenti religiosi legati indissolubilmente alla nostra Comunità prima
che il tempo li faccia cadere nel dimenticatoio. Ma oggi siamo
particolarmente soddisfatti perché Carmelo Bonvegna si è deciso a prendere
carta e penna (anzi il P.C.) e a inviarci le sue sensazioni ed emozioni
legate al Pellegrinaggio da lui personalmente vissute. Carmelo
Bonvegna, per chi non lo sapesse, è nato a Mandanici ove ha vissuto nei
primi anni della sua vita per trasferirsi successivamente a Rodì. Laureato
in lettere presso l'Università Cattolica di Milano si è dedicato per molti
anni all'insegnamento. E' autore di un meraviglioso volume dal titolo “usi e
costumi di Rodì e Milici” edito da Bastogi.
Come scrive
Alberto Maira nella prefazione al libro di Carmelo Bonvegna “il problema
delle radici e la conservazione della propria identità spirituale e
culturale, l'amore per il passato del proprio luogo natio, non saranno la
panacea di tutti i problemi, ma sono l'unico elemento per resistere e per
risorgere dalle rovine”.
Come è facile
intuire Linuccio è una bella penna per cui riesce a farci toccare quasi con
mano i suoi ricordi. Nel rinnovare
l'invito ad altri, a prescindere dalla forma letteraria, vi proponiamo di
seguito cosa ci ha scritto Carmelo Bonvegna noto agli amici come Linuccio:
PELLEGRINAGGIO- MANDANICI
(29/05/2010) -
Dico “la mia”, facendo seguito al vostro, “Pellegrinaggio a
Tindari. Dite la vostra che ho detto la mia”, con cui chiedete di raccontare
“emozioni e sensazioni e ricordi”.
Nel 2003 mi sono trovato nel mese di maggio a Rodì, paese di mio Padre e
della mia infanzia. Giornate splendide come accade in Sicilia nella
primavera meravigliosa di fiori e di profumi, ero partito da Milano per far
visita alla mamma ormai novantenne. Sabato 10, giunto a casa e appena
respirato l’effluvio inebriante delle zagare, mi ricordai improvvisamente
che l’indomani, seconda domenica del mese, sarebbe dovuto ripassare il
Pellegrinaggio di Mandanici nel viaggio di ritorno dal Tindari. Avendo avuto
conferma dalla mamma che tutto era immutato come una volta, mi sono levato
all’alba del giorno dopo con un pensiero preciso: non perdere l’occasione
irripetibile che mi si offriva, dopo molti anni, di gustare l’immersione
panica in un lontano passato!
Ho messo in fretta in una busta alcune foto ingrandite di pellegrinaggi
degli anni ‘60 che mesi prima mi avevano procurato i miei cugini Urso per il
libro “Usi e costumi di Rodì e Milici”, e mi sono avviato ad aspettare i
tunnarìsi all’inizio del paese da dove loro sarebbero dovuti arrivare. Fu
una emozione unica e indimenticabile e che, confesso, mi è difficile
descrivere; ricordo solo che mi prese un nodo alla gola che quasi mi
impediva di parlare e di cantare. Chiedete a Melo Crimi, anche lui con gli
occhi lucidi avendo individuato suo Padre, don Giovannino, in una delle foto
che io gli mostravo.
Di colpo volò quel mezzo secolo che era trascorso; mi rividi a cavalcioni,
arreticavàddu, sull’asina del nonno Peppe, u mannaniciòtu, uomo caparbio
quanto coraggioso, per me ancora adesso un eroe d’altri tempi; riudii lo
stesso suono di marcia “dâ Matr’û Tunnàru” del tamburo suonato da uno
Sturiale e il rimescolio di anima e corpo che esso produce nei semplici come
me, le stesse invocazioni a cui rispondevo disinvolto nella migliore e più
antica lingua siciliana, “viva la Gran Signùra Marìa!”, con meraviglia dei
giovani discotecari presenti che non sapevano chi fossi; e poi mia mamma che
abbracciava tutti e domandava di cose e persone in gran parte ormai
scomparse per sempre, “cummàri, cummàri Razzièdda, sugnu a fìgghia di Catìna!”,
“non si rricòdda di mia? sugnu u nipoti dû cucìnu Cuncettu!” Sono sembrate a
me, ritornato per incanto bambino, le stesse voci degli anni 50, gli stessi
volti caldi di sole, di fatica, di marcia; ho rivisto le cavalcature
infiocchettate a festa con nastrini multicolori, tante facce di chi ora non
è più tra i vivi; in un attimo, quella mattina di domenica 11 maggio 2003,
tanti fantasmi mi camminarono accanto e mi strinsero insieme a loro, vicino
alla stendardo, dietro il tamburo.
Altro non so dirvi…se non dell’assenza stordita del paese di Rodì, non più
contadino e neanche borghese, che non si accorgeva che per la strada
principale quella mattina si stava rinnovando una tradizione tra le più
suggestive delle nostre contrade. Infatti tutti o quasi dormivano, i più
dovendo riposarsi del niente del giorno prima!
In merito a quanto qualcuno ipotizza intorno alle origini del Pellegrinaggio
che i Mannaniciòti, da sempre, compiono â Matr’û Tunnàru, avere avuto
origine da una punizione inflitta dalla Inquisizione a Mandanici, covo di
eretici, mi sento di opporre:
1) se fosse stato un castigo (deportazione – addirittura! – di abitanti di
Mandanici al Tindari e lavoro coatto per la ricostruzione del Santuario,
distrutto dal pirata mussulmano Dragut nel 1544) imposto dall’Inquisitore di
Patti ai nostri Avi a causa di qualche loro eresia durante la cosiddetta
Contro Riforma, di “castigo” e di tristezza sarebbe dovuta rimanere, ancora
oggi, invariabile nei secoli, l’atmosfera del Pellegrinaggio; i tunnarìsi,
invece, partono e ritornano tra sventolio di fazzoletti e grida e
invocazioni e canti di gioia (Ch’è bbedda la rrosa quann’idda spampàna” […]
“Lu pòpulu fa la festa fistìnu cci sarà”) che io mi sono sforzato di
descrivere come ho potuto nel mio “Usi e costumi”; pur conservando, il
Pellegrinaggio, forme penitenziali comuni a tante altre processioni che in
tutta la Cristianità ancora oggi si svolgono: i ped’i fora, capelli sciolti
le donne, percorso rigorosamente in silenzio, il camminare sui ginocchi nel
sacro recinto del Santuario, etc.; cose che non intaccano quella atmosfera
di gioia di cui si diceva.
2) l’ipotesi del castigo, osta, poi, col fatto che, fino a qualche decennio
addietro, il Pellegrinaggio, distribuito nei quattro venerdì di maggio,
partiva anche da Misserio, Pagliara, Locadi, Santa Teresa e – in antico –
anche da Savoca, come dimostra l’usanza a Rodì (ma anche a Milici, a Bafia e
Castroreale) di chiamare tutta questa gente che attraversava la valle del
Patrì, col nome generico e collettivo di “Saucòti”. Domanda: a) risultano
episodi di inquisizione su quelle comunità? b) l’Inquisizione aveva imposto
lo stesso castigo a tutta la zona di Savoca?
Conclusione:
bene facciamo a studiare con entusiasmo la storia della nostra
piccola-grande e indimenticabile Patria, liberi di immaginarne, magari,
fatti ed eventi; meglio ancora, però, sarebbe per tutti che questi venissero
supportati da prove sicure.
Carmelo (Linuccio) Bonvegna
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