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7 luglio 2011

Mandanici. Viabilità nel 1800 e pure prima

INgrandimento immagineL'Abate Paolo Balsamo nel suo giornale di viaggio fatto in Sicilia nel 1808 scriveva “non esservi ai suoi tempi in Sicilia un palmo di comunicazione fra l'una e l'altra terra: divise le popolazioni, sconoscevansi; i proprietari lontani sempre dai loro fondi e quelli medesimi che avrebbero voluto visitarli ne rimanevano spaventati per gli immensi disagi e dispendi ai quali si esponevano. Né alberi dunque né uomini, né vita alcuna vedevasi nella terra del sole; le produzioni languivano,incolti rimanevano i campi.”

Per Goethe il territorio siciliano presentava “singolari deserti di fecondità”.

Mi è venuto in mente di ricercare e di riportare queste brevi notizie sulle vie di comunicazioni del nostro paese perché nel breve volgere di un secolo sono state rinnovate e molte di esse sono scomparse, per cui non ci sarà più né la memoria orale né l'utilizzo quotidiano delle stesse come è avvenuto per i secoli passati. Pur mancandoci le informazioni scritte né essendo semplice ricostruire i tracciati, in quanto sepolti dalla fitta macchia mediterranea e ormai abbandonati nel loro utilizzo, siamo in grado di registrare le notizie orali di gente che in tempi passati li hanno percorsi per lavoro o per andare a caccia senza l'utilizzo di ipotesi strampalate e gratuite.

Una considerazione veloce,a primo acchito, che si può trarre sulle nostre vie di comunicazioni è che nulla a tutt'oggi da allora è cambiato,anzi.

Difficili, quasi impossibili erano gli impervi sentieri che ci collegavano con i confinanti paesi di montagna,quasi da incubo raggiungere la marina attraverso il torrente Dinarini specie nel periodo invernale. Eravamo in presenza di piste che battute giornalmente dagli uomini e dagli animali avevano rappresentato per millenni le principali vie di comunicazione di questo angusto territorio soffocato all'interno di montagne ripide e ingenerose.

Queste mulattiere preistoriche demaniali di notevole interesse ambientale e paesaggistico pur non essendo state programmate e progettate si sono realizzate giorno dopo giorno,anno dopo anno,secolo dopo secolo, e si sono radicate sul territorio diventandone parte infrastrutturale integrante del territorio. I tracciati principali s'intrecciavano capillarmente come reticoli venosi con altri viottoli più stretti e più scoscesi che molto spesso attraversavano e servivano le proprietà private.

Oggi polverose e pericolose strade sterrate ci collegano con i paesi di montagna, mentre una provinciale che certamente non può considerarsi tale ci conduce a Roccalumera.

Non si vuole capire, da chi ne ha l'obbligo, il concetto molto semplice che è la strada che deve raggiungere i paesi e non viceversa. Non possiamo, non dobbiamo, non vogliamo spostarci tutti alla marina di Roccalumera come in questi ultimi decenni si sta verificando. Il paese deve restare, la gente deve restare,è la strada, degna di questo nome, che deve arrivare. Le nuove tecniche di costruzione acquisite dall'ingegno umano sono in grado di superare le oggettive difficoltà naturali di un territorio come il nostro abbastanza ingeneroso nei confronti dei suoi abitanti. Solo una veloce strada di collegamento può togliere Mandanici dal grave disagio economico e sociale nel quale politiche egoistiche e poco lungimiranti hanno deciso di relegarlo e la forte emorragica contrazione demografica degli ultimi decenni ne è la prova provata con il ripopolamento delle aree urbane a scapito di quelle rurali. La viabilità è stata da sempre la nota dolente per la già fragile economia agricola del nostro territorio impedendo di fatto rapporti commerciali e relazioni sociali con la marina che si avviava verso una piena fase di sviluppo grazie alla costruzione della strada statale Messina-Giardini e della linea ferroviaria. Per assurdo, ma non tanto, se la statale fosse stata costruita alcuni chilometri più a monte,tra Rocchenere e Pagliara, non solo i paesi marinari, potendo utilizzare meglio il loro territorio in atto limitato dall'autostrada e dalla linea ferrata, avrebbero avuto maggiori vantaggi per una migliore espansione urbanistica e produttiva ma anche i paesi di montagna avrebbero avuto significative opportunità di sviluppo. Si potrebbe ovviare agli errori passati con la strada intervalliva da tutti ideata e progettata ma da nessuno realizzata. Le vie di comunicazione da sempre sono state d'impulso per la propagazione del benessere e per la pacifica convivenza,senza di esse il territorio può essere abbandonato al pascolo,al bosco e al fuoco con le inevitabili ripercussioni sul dissesto idrogeologico le cui conseguenze finali vanno a scaricarsi sulla marina con un costo enorme per la collettività.

Mandanici per la sua difficoltà di accesso nei secoli passati si è trovato in una posizione geografica ottimale per quanto riguardava la sua sicurezza e per la sua economia agricola quand'anche di semplice sussistenza. La stessa cosa non può dirsi dell' ieri e dell'oggi trovandosi in un non voluto isolamento fuori dalle realtà politiche ed economiche dell'intero comprensorio e il tutto per la mancanza di idonee vie di comunicazione.

Le nostre antiche “vie di comunicazioni” del 1800 e prima si sviluppavano su quattro direttrici costituendo una prima maglia infrastrutturale dell'intero territorio: A sud: per Misserio-Savoca, a sud est: per Pagliara-Roccalumera,a nord-est: per Fiumedinisi, a nord ovest: per Castroreale

Per andare a Misserio e Savoca:

L'Itinerario che i nostri antenati utilizzavano per recarsi nel vicino paese di Misserio era per certi versi breve e veloce,attraversava sia terreni incolti sia terreni abilmente terrazzati e coltivati a grano prima e ad uliveto poi. Le contrade attraversate, i cui toponimi resistono ancora coerenti con il tempo che scorre,erano fortemente antropizzate e dotate di piccole costruzioni con muri a secco (caseddi) per ripararsi nel caso di improvvisi temporali e dal freddo intenso nei momenti di riposo. Questo descritto era l'itinerario più veloce e più praticato per chi voleva andare a Misserio e viceversa. Certamente tantissimi altri violi consentivano di arrivarci,se per esempio ci si trovava nella contrada puttedda o sella di Nicufoliu non si andava a Furisteri ma si scendeva direttamente nell'altro versante e si arrivava ad Artale e da lì poi si proseguiva per Misserio. Partendo da questi presupposti e da Mandanici si attraversava il torrente Dinarini, quando non era in piena, con tutti i rischi connessi nel periodo invernale essendo sprovvisto di adeguati ponti,e si arrivava al vallone di contrada Ciontina,contrada posta nel dirimpettaio territorio di Pagliara, proprio vicino a Palmolia piccolo borgo antico dipendente da Savoca,detto” porta di Mandanice”dai mandanicesi,”porta di Parmolio” dai savocesi. Palmolia oggi è un insieme di ruderi di poche casupole interrate dalle frequenti alluvioni nel XIX° secolo posto davanti al quartiere Pantano di Mandanici sull'argine destro del Dinarini. Da Ciontina si saliva per circa centocinquanta metri percorrendo un' antica mulattiera demaniale, si girava poi verso est per la contrada “a Luvaredda “(di fronte al quartiere Spafaro in Mandanici) per attraversare poi con leggere pendenze, andando sempre ad est (direzione Locadi), la contrada Canale. In questa contrada una biforcazione consentiva: la prima di continuare per Calarù e poi per sopra Locadi, con la seconda con ripide rampe a gomito che si accartocciavano su se stesse si ascendeva fino ad oltrepassare il crinale nel suo punto più basso la contrada puttedda di Furisteri posta sul punto cacuminale dei due versanti. Da questo crinale si scendeva per la contrada Massa Valanca e poi ancora giù fino alla base della montagna e si arrivava così nella contrada denominata vadduni funnaci (vallone fornace), si attraversava il torrente e si era giunti a Misserio. Il tempo necessario per percorrere questo tragitto era soggettivo ma indicativamente per gente con buone gambe e buoni polmoni era di circa 80 minuti, uno o due pusaturi consentivano a chi portava dei pesi di riprendere fiato.

Questi impervi sentieri dalla larghezza di circa due metri , per consentire il passaggio di animali con cofina, e con pendenze in alcuni tratti superiori al 40% sono stati utilizzati indistintamente dai Mandanicesi e dai Missarioti per la raccolta delle olive, per la mietitura del grano,del fieno e per la partecipazione a cerimonie religiose. Ogni anno, la seconda domenica di agosto, si utilizzava questo percorso per la ricorrenza della festa di Santa Lucia a Savoca o per le fiere del SS.Salvatore e di San Michele a Mandanici. Le strade carrabili interpoderali in terra battuta realizzate nell'ultimo ventennio del secolo appena passato che attraversano in lungo e largo le campagne della zona ne hanno snaturato il vecchio tracciato rendendolo invisibile e abbandonato in modo definitivo il suo utilizzo. La mancanza di interventi adeguati per il convogliamento delle acque meteoriche le rende franose e insicure.


Per andare a Fiumedinisi:

Per recarsi a Fiumedinisi la strada era molto più lunga rispetto a quella per Misserio tanto che il tempo necessario quasi raddoppiava, ma nonostante ciò molti vi si recavano per i modesti scambi commerciali e molti matrimoni si sono realizzati tra i giovani componenti delle due comunità. Si partiva dal quartiere Rocca e in salita si raggiungeva contrada Cabbariu (Calvario), da lì si arrivava alla contrada Scalunazzu e quindi o “gghianu cannarozzu“ e poi “o serru di Muddirinu” ( Mollerino). Si raggiungeva poi Acqua Pirara. Qui era (ed è) d'obbligo riposarsi,bere la buona acqua presente ( la migliore di tutto il territorio) e poi pronti per inerpicarsi fino ad arrivare a “puttedda riti” (portella riti) da dove percorrendo un lungo viottolo quasi pianeggiante verso sud-est si perviene al confine ( posto all'acqua pendente) con Fiumedinisi nella parte a monte e più precisamente a “puttedda Palumma” (portella palumma).Scendendo adesso ci incontra il pianoro di Brunnu ricco di gelsi neri, e se la stagione è quella giusta si può fare il pieno e proseguire verso la contrada Cciappa, ove sono presenti alcuni ruderi, e poi per Licàntru. Siamo quasi giunti “ e du ciumari (alle due fiumare) e non ci resta che Puttedda Pidària, la contrada San Pantaleo e siamo “a Santissima” una zona d'incomparabile bellezza paesaggistica,ed eccoci stanchi morti a Fiumedinisi. Ne valeva la pena, una bella scarpinata che ancora oggi è possibile effettuare in quanto molti tratti di questo antico itinerario sono rimasti intatti e percorribili non essendo stati interessati se non in piccola parte da attraversamenti di strade carrabili in terra battuta. Il paesaggio che gli occhi hanno il piacere di osservare durante tutto il percorso è unico e indimenticabile. Il mare da un lato, la giacitura dei monti che si innalzano,si abbracciano a pettine,si scontrano, quasi a picco separati ora da ampie valli ora da stretti valloni. Ricchezze immateriali non sfruttate adeguatamente come si dovrebbe. Gli italiani in Libia avevano il petrolio sotto i piedi e non lo sapevano, e la storia si ripete.

All' Acqua Perara ai nostri giorni si arriva per mezzo di una strada sterrata che si diparte acanto al nostro Cimitero. Arrivati,cani scodinzolanti ci aspettano e molto spesso negli orari giusti s'incontra il pastore Pietro De Luca che accoglie gli escursionisti con tanta cortesia e, se si è fortunati, si ha l'opportunità di gustare un piatto di ricotta con il siero.

Per andare a Pagliara e Roccalumera

Sembrerebbe il percorso più agevole, ma sicuramente era il più difficile in quanto il suo itinerario utilizzava l'attuale Via Fabrizi già via Terranova, dove trovasi la Chiesa della SS:Trinità, da lì si toccava funtanedda (Fontanella) e poi attraverso stretti sentieri dopo aver superato le difficoltà di Valanca Vecchia si arrivava a “Cucuzzu” (Cocuzzo). Utilizzando quella stradina ripida posta sotto il Belvedere, si arrivava al torrente Dinarini e da lì costeggiando si arrivava a Badia dove trovasi l'antico Monastero basiliano eretto dal Conte Ruggero nell'anno 1100, torrente di Cosentino permettendo. Fin qui il tragitto non doveva essere oltremodo difficile. Ma da Badia per andare a Pagliara seguendo il corso del torrente doveva rappresentare quasi un'avventura, anche se molti monasteri venivano edificati nei pressi dei torrenti proprio per poterli utilizzare anche come vie di comunicazione. Il portone d'ingresso del nostro Monastero è rivolto verso la strada che porta al vicino torrente.

Impossibile da percorrere nel periodo invernale a causa del torrente in piena. Su questo percorso si potrebbe avanzare una ipotesi alternativa, non corroborata da fonti scritte né da fonti orali, in quanto sembrerebbe la più logica. Arrivati a Badia si sarebbe potuto utilizzare il fianco sinistro della montagna che si poggia sul Dinarini non nella posizione dell'attuale provinciale ma più a monte nella zona di Bottari per poi arrivare a Natticò, già nucleo abitato di Pagliara, e da lì seguire lo stesso tracciato utilizzato dai Pagghiarini per raggiungere Pagliara e quindi Roccalumera,ma sono solo supposizioni. Chi ha certezze documentali o orali potrebbe benissimo darci un aiuto in tal senso. Questa via di comunicazione per Roccalumera, come si vede, era la più difficile da percorrere ed è stata la più difficile da posizionare sul terreno.

Altro aiuto ci potrebbe arrivare tuffandoci nel lontano passato e approfondendo la zona dei Palaistenoi che secondo gli atti del Convegno della SISAC (Messina-Reggio Calabria 24-26 maggio 1999) di Bruno Gentili “dovrebbe coincidere con quella di Mandanici, Locadi, Pagliara lungo l'attuale Dinarini.”

Per andare a Castroreale

Fiumi d'inchiostro sono stati scritti su questa strada, sia in sedi istituzionali sia su pubblicazioni a cominciare da quelle del Cav. Luigi Mazzullo,di Domenico Bonvegna,di Aurora Albert e di Padre Giovanni Parisi.

Per Aurora Albert era la strada degli eserciti, per Domenico Bonvegna la strada dei pellegrinaggi,per il Cav. Mazzullo la strada della riscossa che avrebbe garantito sviluppo per Mandanici nonché la strada utilizzata dal Gran Conte Ruggero per trasportare la salma del nipote Serlone da Taormina a Gala, per padre Parisi rappresentava l'antico “stenà” greco e le “fauces” utilizzate da Pompeo nel 36 a.C.

Sembrerebbe strano e paradossale, ma Mandanici intratteneva ottimi rapporti con le popolazioni del versante tirreno, rapporti che sono venuti lentamente a mancare con la costruzione della provinciale Mandanici-Roccalumera alla fine del diciannovesimo secolo.

Attraverso questa mulattiera di collegamento i Mandanicesi si recavano (e si recano) in pellegrinaggio a Tindari, i giovani studenti frequentarono le scuole del magistrale di Castroreale, i Bafioti venivano nelle fiere del SS: Salvatore e di San Michele a vendere e/o acquistare animali e altri prodotti.

Ogni settimana i genitori dei nostri studenti attraverso queste montagne impervie li andavano a trovare portando il necessario per vivere. Tra essi ricordiamo Carmelo Fasti e i fratelli Peppino e Sebastiano Ricciardi.

Partendo da Mandanici i principali punti di riferimento che si toccavano e che sono rimasti immutati nei loro toponimi erano:

Quartiere SS. Salvatore

Firricchio

Carùsu

Pietrafitta o Passo della Provvidenza

Barréra

Mazzusu

Riotto

Marinara-Brigghiu

Babbuna

Scarrunumoddu

Fossa Lupo, da lì con tornanti serpeggianti si saliva fino a

Portella fossa lupo (ove trovasi la pineta detta “e pignara”

Valanca Baddi (Valanca balle)

Rutta Campana (grotta campana)

Puttedda fimmina motta

Puttedda iaddili (portella Gardile) 1.174 slm (chi beveva alla vicina fonte perdeva quasi la voce)

da Jaddili, dove quasi tutti i Comuni ionici hanno eretto edicole votive dedicate alla Madonna del Tindari, è possibile vedere in lontananza il Santuario. Si scende quindi verso

ghianu maggi (piano margi) (territorio del Comune di Castroreale a 900 msl). Da Piano Margi utilizzando un tragitto più breve è possibile arrivare a Bafia. Ed era questo il percorso del pellegrinaggio che poi continuava per Rodì fino alla confluenza con la statale sul ponte di Mazzarà S.Andrea.

Invece per recarsi a Castroreale si continuava per

Speciale

Valanca fussazza

Puttedda càlamo

Castroreale

I superamenti delle creste erano denominati “puttedda”, rappresentando essi la porta di accesso e il punto più basso e agevole di ogni valico. I terreni attraversati erano ora verdeggianti ora aridi dove solo qualche vecchio pirainaru (pero selvatico) consentiva di riposarsi e riparasi dai caldi raggi del sole.

Il nuovo Governo unitario, nato nel 1861, ebbe a cuore la costruzione di una via stabile tra i due versanti ripercorrendo per somme linee il tracciato della millenaria via di collegamento.

Nel versante di Castroreale i lavori di costruzione della strada furono appaltati nel 1894. Si partiva dalla piazza del Duomo, attraversando la via Artemisia si raggiungeva piazza Candelora. Indi si scendeva, percorrendo una antica strada comunale, alla Chiesa di San Vito e mantenendo sempre il tracciato della vecchia strada comunale si arrivava alla Chiesa dell'Annunziata. Da lì la strada per raggiungere Piano Margi avrebbe dovuto seguire l'andamento della via mulattiera da Castroreale a Mandanici sviluppandosi sui fianchi del versante a mezzogiorno del paese di Castroreale .

Sul versante della catena dei Peloritani che si affaccia sullo Jonio,la strada doveva arrivare a portella Fossa Lupo, da lì a sella Nicofolio per poi raggiungere la Contrada Pietrafitta. Negli atti progettuali il ponte di Pietrafitta era previsto in muratura,come quello di Cosentino,a tre luci di m.15 a tutto sesto,alto circa m 22 dal greto del torrente e per una lunghezza complessiva da sponda a sponda di m78. Quel progetto non fu mai realizzato. Il costo dei lavori compreso il ponte ascendeva in fase progettuale a lire 1.000.000

Solo negli anni 1927-1928 ne fu costruito uno in cemento armato ad unica campata progettato dal nostro architetto Antonio Ricciardi e costruito da imprese locali.

Del progetto originario furono costruiti circa due chilometri di strada con partenza dalla contrada Riotto-Mazzuso ma questo solo intorno al 1933.

La strada progettata era sicuramente più stabile perché avrebbe attraversato terreni solidi e sarebbe stata anche di molto più corta rispetto alla traccia carrabile che nei primi anni sessanta la Provincia di Messina realizzò su forte interessamento dell'Amministrazione di Mandanici guidata dal Sindaco Carmelo Fasti.

Per quanto riguarda la traversa abitata di Mandanici era previsto l'attraversamento del torrente Cavallo a mezzo di un ponte in struttura metallica con una luce di m 25. Anche questo progetto fu modificato e invece di un ponte a struttura metallica ne fu costruito uno in muratura a due luci. All'interno dell'abitato erano previsti due cavalcavia che collegassero la parte bassa a quella alta (Via Sciacca della Scala,e Via Torrente Cavallo) mai realizzati. Il costo presuntivo di progetto della traversa ammontava a lire 171.500.

a.c.