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26 settembre 2011

Anche le pietre hanno un'anima

Ingrandimento immagineTutti sapevamo della pietra gialla di Ilici con la quale furono edificate tutte le Chiese e i palazzi nobiliari presenti sul territorio di Mandanici. Tutti ammiriamo le lesene delle nostre Chiese costruite con funzioni decorative che ancora affascinano i visitatori raccontando loro storie silenziose di tempi lontani.

Maurizio Triscari durante un convegno svoltosi a Mandanici nel 2004 fece una lunga analisi sulla pietra di Ilici asserendo che l'areale di Mandanici “presenta peculiarità tali da essere un archetipo”.

Non tutti sapevamo invece della “pietra nera di Mandanici” con la quale si sono creati mostri e alla quale viene attribuita una valenza paranormale. Da dove arriva questa pietra nera?, forse da un pezzo di asteroide caduto milioni di anni orsono sul territorio di Mandanici?

Durante le sue numerose visite a Mandanici, insieme all'amico comune Nino Lombardo, ho avuto il piacere di conoscere il Prof. Architetto Giulio Romano da Messina e ad ascoltarlo si resta piacevolmente incantati per la sua grande capacità di trasferire concetti normalmente considerati astrusi. L'arch. Romano, sollecitato in tal senso, ha confermato dell'esistenza di una pietra nera di Mandanici importante non solo per le sue proprietà decorative ma sembrerebbe ancor di più per i suoi poteri esoterici. D'ora in poi quando guarderemo i mostri del Montorsoli della fontana Orione di Messina nei pressi del Duomo, li guarderemo con un occhio diverso e più attento. Quando guarderemo con occhi distratti le pareti del monastero di Badia forse, d'ora in poi, ci soffermeremo con maggiore attenzione su alcune pietre nere presenti sulla facciata. L'Arch. Romano in anteprima ci ha inviato alcuni frammenti di un suo libro di prossima edizione “la cultura, l'Arte e gli interventi edilizi a Messina dal 1909 al 1930” dove in modo ampio e esauriente scrive sulla nostra pietra nera suggerendo scenari oscuri e affascinanti. Sinceramente lo ringraziamo per avere scelto questo sito per l'interessante anteprima.

La pietra di Mandanici

La valle di Mandanici (valle del torrente Pagliara) è stata, sempre, oggetto di ricerca e studio per le sue caratteristiche sia geologiche che mineralogiche, ma non tutti sanno che questo lo è stato da tempo immemorabile

Cominciamo con ordine.

Fin dai tempi dei Bizantini la zona fu considerata la “miniera” ufficiale delle più importanti costruzioni dell’epoca.

Non stiamo qua a elencare i vari minerali che si trovano in zona, ma vogliamo parlare solo del suo basalto.

Furono proprio i Bizantini a volerlo per i loro edifici, quanto meno come elemento decorativo, ed è proprio da ciò che cominceremo il nostro racconto.

Diciamo racconto perché, come vedremo, la storia, la geologia e, bisogna pur dire, anche il “mistero”, si sono da sempre impadroniti di questo luogo speciale.

Tutto ebbe inizio da quando il prof. Bartolo Baldanza, il noto docente di mineralogia all’Università di Messina che, nel 1963, su invito di Padre Stella e del prof. Adolfo Romano (all’epoca Ispettore Onorario delle Belle Arti per la provincia di Messina), decise di dedicare a questo luogo, una serie di ricerche atte a conoscere sia la morfologia del territorio, che la sua storia.

La storia dell’Arte ci dice che fu la Toscana, del Rinascimento, la prima a “inventare” la litotonia. Sembra, invece che questa pratica di adoperare pietre colorate per le facciate sia nata al Sud, proprio con la chiesa dei Catalani, dove fu realizzata una sorta di litotonia “ante litteram”, già dalla sua fondazione nel 1271 (Basile), usando: la pietra arenaria di Siracusa, la “bucalacina” di Rometta e la pietra grigia di Mandanici e proprio sull’uso di questa pietra, il prof. Baldanza, fece ricerche e analisi specifiche, dimostrando che anche il Montorsoli si servì di questo basalto per i “mostri” neri della fontana di Orione.

Due dei “mostri” del Montorsoli, in pietra di Mandanici.

Il professore, nel 1971, in una sua erudita prolusione al Circolo Accademico “Prisma”, diceva:

Nel 1220, poco dopo essere stato incoronato imperatore, Federico II venne a Messina con il suo consigliere Matteo Scoto, uno scozzese transfuga dai Templari (si chiamava in realtà Matthew Scott) astrologo, matematico, filosofo e seguace delle teorie di Averroè, (quanti titoli) il quale suggerì al sovrano di dotare la chiesa di S. Maria, di un simbolo: una“amigdala”, come nella più alta tradizione dei Menhir celtico-teutonici.

Evidentemente Federico si convinse, e conferì l’incarico a Matteo, il quale ritenne opportuno che la pietra più idonea, fosse quella di Mandanici scelta perché, secondo le sue teorie esoteriche, era la più adatta a tale scopo in quanto “nata” sotto il “gravame de lo monte” (Scuderi).

Monte Scuderi

La pietra, alta una cinquantina di centimetri, fu cavata, lavorata (rigorosamente a forma di mandorla), e collocata davanti la nostra chiesa.

Nel 1350, allo scadere dei cento anni dalla morte di Federico, i teutonici, ormai stabilitisi a Marienburg in Pomerania (oggi Malbork, in Polonia), reclamarono la pietra per portarla in quel castello.

Chi doveva accordare il permesso per la cessione della pietra, fu un magistrato messinese di nome Giudice che, per la “cortesia” accordata, gli fu conferito il privilegio di fregiare il suo stemma con la “Croce Teutonica”.

Il blasone dei Giudice, che risultano estinti a Messina già nel 1500. Il cognome ricompare come Lo Giudice, dopo l’unità d’Italia

Ma c’è ancora dell’altro, anche a Palermo esiste una storia analoga.

Si racconta che Federico fece collocare una pietra, ”iauta sidici palmi e chi finia ca punta”, ai piedi di monte Pellegrino, che il popolo chiamò: “a petra ill’Imperaturi” (sembra servisse come gnomone di una rudimentale meridiana per indicare l’ora del ritorno dai campi).

Questa pietra, di cui si hanno numerose testimonianze, rimase al suo posto per molti secoli fino a quando nel 1860, all’arrivo di Garibaldi, non fu fatta saltare.

Il racconto del professore Baldanza finisce qui, ma spinti dalla curiosità, abbiamo voluto fare di più. Siamo andati a Malbork, per vedere la nostra pietra che abbiamo trovato incastonata all’ingresso del castello, dove un vecchio cicerone ci disse, in uno stentato tedesco soltanto:

- Das ist eins Sizilianische stein…- (Questa è una pietra siciliana).

L’abbiamo vista, fotografata e toccata. Non c’è rimasto altro!…

L’amigdala di Messina in pietra di Mandanici.

 

L’ingresso di Malbork: la si vede incastonata nel muro come un trofeo.

Pensando alle sue origini, la nostra pietra certamente non ha fatto una bella fine… Se ne può stimare la misura, calcolando che i grossi mattoni sono spessi circa 12 cm.

A parte la bellissima versione, anche poetica, del prof. Baldanza, in realtà a Malbork, abbiamo trovato molti altri reperti litici.

Ci è sembrato però che quei cavalieri teutonici, facessero collezione delle pietre di tutti i luoghi che avessero toccato o conquistato, infatti, oltre la nostra pietra, abbiamo potuto vedere altri reperti provenienti dai posti più impensati.

Dalla Puglia abbiamo trovato il Minervino e la pietra di Trani, dalla Basilicata il tufo grigio di Melfi e dalla Sicilia, oltre alla “nostra” pietra, abbiamo trovato, in una trifora, mezza soglia in grigio San Marco, ma c’era dell’altro: dalla mischia di Trapani (la famosa schiuma di mare), alla pietra arenaria dell’Aspra (PA) e perfino un pezzo, da noi ormai quasi introvabile, di rosso Taormina, ma ciò che ci ha fatto più impressione, è stata la sala delle ambre dove, in bella mostra, c’erano quelle provenienti da Roccalumera, trovate nel torrente Allume insieme all’allume di rocca e a …pagliuzze d’oro di Fiumedinisi.

Insomma, a Malbork c’è di tutto e sarebbe molto bello continuare a parlarne, ma andremmo troppo “fuori tema”, ma c’è ancora un’ultima cosa: lo strano materiale di quella trifora.

 

La soglia della trifora del castello di Malbork.

Nella foto si vede chiaramente quella strana accoppiata di un pezzo di grigio San Marco (d’Alunzio) a destra, e una lastra di nero del Belgio che fanno d’appoggio a due colonnine, una di portoro (il nero venato) e l’altra di granito, (posate su basi indubbiamente di recupero), ma quello che è ancora più strano, è che quel granito sembra identico al “rosso Capao del Brasile” che, a pensarci bene, a quei tempi, non era ancora conosciuto.

E allora: tenendo conto che il castello fu fondato nel XIII secolo, da dove viene quel marmo?

Sarebbe un ottimo argomento per una puntata TV di…“Misteri”…

 

Il castello di Malbork che si riflette sul fiume Nogat.

A chiusura di questa piccola dissertazione, pubblichiamo una foto per far vedere come i Bizantini utilizzassero la pietra di Mandanici, incastonandola nei rosoni decorativi dell’abside della chiesa dei Catalani a Messina, ma su questo ci sarebbe ancora molto da parlare…..

 

Il particolare di un rosone dei Catalani, dove si nota l’impiego massivo della pietra di Mandanici.

Il presente articolo è stato tratto dal libro, di prossima pubblicazione: “La Cultura, l’Arte e gli interventi edilizi a Messina dal 1909 al 1930” di Giulio Romano. (copyright 2011)