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26 Novembre 2013

Abbiamo a zzotta ma non u carrettu

Carmelo Bonvegna ci ha mandato la prefazione che fece nel 1996 per il lavoro che suo zio Domenico Sturiale, classe 1918, aveva completato e che era quasi pronto per mandare alle stampe. La morte improvvisa dell'autore ne ha compromessa la pubblicazione.

Carmelo Bonvegna nato a Mandanici, vive nell'opulento nord, ma non dimentica le sue radici che ha portato con se nel lungo esilio ed è autore di diversi lavori molto interessanti.

Domenico Sturiale si sentiva parte integrante di “quello stupendo popolo mandanicese” di quello “sgrammaticato popolo di poeti” ma dalla sua fertile mente partorirono poesie che sono pezzi di vita vissuta, pezzi di storia locale amorevolmente raccontata. Le poesie sono state pubblicate nel 1994 da Armando Siciliano “il Professore”con la prefazione sempre del prof.Carmelo Bonvegna, per i più vecchi Linuccio.

Essendo venuti in possesso della prefazione (a zzotta) ma non del lavoro (u carrettu) ci accontentiamo, almeno per ora, di metterla a disposizione di quanti ci leggono, dando fin d'ora la disponibilità alla famiglia che ove volesse utilizzare questo sito per la pubblicazione on line siamo a completa disposizione.

 

Il testo che pubblichiamo doveva essere una prefazione a un 2° volume su Mandanici di Domenico Sturiale, che era quasi pronto per la pubblicazione, ma che non riuscì a pubblicarlo perché è scomparso prima.

 

DOMENICO STURIALE

Col libro (…….), Domenico Sturiale è alla sua seconda pubblicazione; la prima, un volumetto di poesie – “Salve belle contrade” – ha visto la luce qualche anno fa. Ora, leggendo queste prose, mi sembra che insieme al poeta, ci sia stato in lui il fotografo attento e puntuale di persone e fatti del suo paese, il raccoglitore di appunti e ricordi che dopo gli sono serviti da supporto alla poesia. Mandanici, infatti, è la materia prima di gran parte della poesia e di questi scritti autobiografici, di ricordi che riaffiorano nella mente dell’Autore e ci descrivono, come in un film appassionante, un mondo scomparso, ahimè, per sempre. Figure indimenticabili di contadini tagliati come pietre aguzze, pastori vestiti di pelli, barbieri, mastri di pala, bizzarre situazioni di vivi e perfino di morti, di maschi e di femmine, di zziti e-mmaritàti, quella vivacità e immediatezza che invano cercheremmo nella vita massificata dalla televisione e uniforme di oggi; i frutti di estate e quelli di inverno stesi sul graticcio – u passulàru – a maturare le loro nascoste dolcezze, i profumi delle varie stagioni, i colori, gli odori, il gusto di pietanze tipiche per certe feste liturgiche e dei Santi, la fragranza del pane appena tratto dal forno e condito con un certo olio che solo qui si produce, la voce serale del banditore (“ascutàti chi-bbannìa!”), il suono delle campane “a-llòngu” e il rullo esaltante del tamburo “a-calavirìsa”, la sacra rappresentazione della Domenica delle Palme – “iaprìti ssi potti di Ggerusalèmmi chi nostru Signùri è cca-fòra chi spetta…!” – , gli asini e i muli infiocchettati a festa per il pellegrinaggio alla Madre del Tindari; cose che anche noi, nati negli anni 40 a Mandanici, abbiamo fatto in tempo e per ultimi a vedere durante la nostra infanzia; insomma, il nostro paese, con le sue case, le ripide strade a gradoni e i vicoli medioevali, i muri, gli archi delle porte e le chiavi di volta, la pietra antica lavorata della Matrice, delle altre chiese e di alcuni palazzi: reliquie che ognuno di noi tiene nel cuore.

Il nostro Autore col suo racconto vi passa in mezzo ad ogni ora del giorno e della notte, a sera e all’alba, al tramonto del sole o allo svanire della stella del giorno, e parla con queste cose e di queste cose, guardandole con gli occhi attoniti di un ragazzo; e tale è miracolosamente rimasto Domenico Sturiale – nonostante gli acciacchi dei suoi 78 anni – vivacissimo e lucido, la battuta pronta, ingenuo ed entusiasta, romantico e innamorato sempre di qualcosa, un “ragazzo” che ricorda puntualmente anche i minimi particolari, angoli reconditi, frasi memorabili, gesti lontani, toni di voci e accenti, vocaboli dimenticati, come “prisìnga”, “cuzzòla”, “firringhìddu”, “pustufè”, “badalòccu”…, quasi una raccolta che farebbe invidia al gran vocabolario siciliano del Tropea!

Nel primo libro – “Salve belle contrade” – egli vola in alto con le sue poesie scritte talora, come usano fare i poeti, quasi in dormiveglia sicché noi “piccioli mortali” abbiamo l’impressione di dover “curvare la fronte” davanti ad esse senza magari penetrare tutto il senso recondito che il poeta aveva in animo e che non ha potuto mostrare; in questo, invece, deposte le vesti paludate, l’Autore, pur maneggiando la stessa creta, pur mettendoci lo stesso sentimento e la stessa nostalgia, cala più nel quotidiano e descrive luoghi e mestieri, tratteggia personaggi, dipinge figure, racconta aneddoti gustosi come quello del cavallo che fu condotto al funerale del suo padrone morto d’un calcio che il cavallo stesso gli aveva sferrato, e il cavallo sembrava che…piangesse: “vadda, vadda, pari chi ciànci!” diceva la gente; correva l’anno 1927 e il nostro aveva nove anni, abbastanza per poterlo ricordare nitidamente.

O quell’altro accaduto qualche anno dopo in cui i mannaniciòti mettono in fuga precipitosa il ricco possidente che voleva incanalarsi l’acqua del traforo, così, alla chetichella, e portarsela alla marina da dove era venuto; si dice che il malcapitato sia stato costretto a fuggire fra gli ulivi di Pammulìa e che, salvato dai reali carabinieri, non abbia potuto usare la sua automobile che nel frattempo era stata ammaccata a bastonate e a sassate! Chissà cosa avrebbe scritto Silone se gli eroi del suo primo e più famoso romanzo fossero stati furbi al pari dei nostri mannaniciòti, ma i “cafoni” fontamaresi si fecero rubare l’acqua e quelli del nostro paese, poveretti, non ebbero la sorte di avere un narratore come l’illustre autore abruzzese che tramandasse ai posteri la loro vicenda e ne esaltasse il coraggio e l’iniziativa. Peccato! L’anno dell’episodio accaduto a Mandanici era il 1930, neanche fatto apposta, lo stesso della pubblicazione di “Fontamara” nella Svizzera tedesca! Intelligenti, infatti, sono i mannaniciòti, sembra voler concludere il nostro; pronti di cuore, facili agli entusiasmi e all’ira, magari e talvolta un po’ bizzarri e originali; egli per questo li ama con tutta l’anima e li difende così come ama le pietre e le cose che ci sono nel proprio paese, soprattutto adesso che, tornato in pensione nella sua piccola patria, può ricordare col miracolo della memoria tutta la storia vissuta come in un film.

E questo film – ne sono certo – servirà a molti anziani per rivedere se stessi in quell’epoca lontana; così essi potranno riavere il sapore di cose passate che li riporteranno alla loro gioventù; ad esempio, agli ardori ed emozioni impagabili delle serenate notturne sotto il chiaro di luna così frequenti a Mandanici, ai canti spensierati della vendemmia, all’atmosfera di una vita sicuramente più povera e più dura ma anche più viva che ognuno doveva vivere in prima persona; per i giovani, forse distratti da tante cose, potrà essere una novità assoluta, quasi una favola, degna però – mi auguro – di essere ricordata con intelletto d’amore, visto che, lo sappiano o no, si tratta del racconto delle radici che a loro sono state trasmesse in dono da chi è venuto prima.

1996 - CARMELO BONVEGNA