Home

 

23 ottobre 2011

Giulio Romano

Ingrandimento immagineLo conoscevamo come insegnante, come architetto, come critico d'arte ma mai avremmo immaginato che Giulio Romano fosse anche scrittore. E' versatile, è poliedrico.

Siamo piacevolmente attratti dalla sua facilità di scrittura con l'utilizzo di termini che vale il piacere di leggere e ancor di più per la grande attenzione,stima e affetto che dimostra nei confronti del nostro piccolo paese. Non perde occasione di farci sentire concretamente la sua simpatia. Approfitta di questo lavoro letterario “la signora Giovanna” per ambientare parte del suo racconto anche a Mandanici facendoci venire l'acquolina in bocca per via dei biscotti o per i “raffaioli” (forse fravioli fatti di ricotta piatto tipico locale).

Usa tutta la sua abilità per inserirvi nei meandri della trama di vicende inventate, partorite dalla sua fervida fantasia anche uno spaccato di vita delle nostre contrade e per quanto ci riguarda ricorda la trattoria del Cacciatore posta oltre il “ponte della provvidenza” o più noto oggi come ponte di Pietrafitta.

Il braciere, ormai sono in pochi a sapere di cosa parliamo, pieni come siamo di termoconvertitori, di stufe a pellet, di stufe elettriche, di stufe a gas, di termosifoni. Romano lo evoca, lo umanizza, lo rende crudele e assassino, lo giustifica, lo gratifica perché ha il merito di riavvicinare la moglie al marito morto giovane durante una notte scura mentre andava a rubare i pesci al mare. L'anidride carbonica inodore e incolore e la porta chiusa ”in qualche modo erano riuscite a rendere felice la signora Giovanna”.

Leggendo d'un fiato il racconto abbiamo la percezione di conoscere personalmente donna Giovanna e il suo figliolo Giuseppe mantenuto agli studi fuori dalla Sicilia con grandi sacrifici economici e con grande sofferenza d'animo per la lontananza. E' la storia vera di tante famiglie di Mandanici che hanno dovuto sostenere sacrifici immensi pur di consentire ai loro figli di studiare fuori Regione. L'autore sfiora con delicatezza anche il tema dei matrimoni tra persone di diversa nazionalità. Donna Giovanna “si sforzava di essere moderna” ma nella sua mente riappariva il famoso detto “donne e buoi dei paesi tuoi”.

Senza scandalizzare nessuno leggendo Romano si ha la sensazione di leggere le opere verghiane.

LA SIGNORA GIOVANNA
 

La sveglia era stata puntata alle sei, ma la Signora Giovanna era già alzata quando trillò.

Il sole illuminava la valle, e il cielo prometteva una bella giornata.

Giovanna prese un’altra tazzina di caffè e guardò fuori; sì, sarebbe stata proprio una bella giornata.

Non aveva dormito molto, aveva passato la notte a pensare. Pensava, pensava e non sapeva se il sonno non veniva per l’ansia, per la gioia o forse per l’emozione: non sapeva come definire ciò che provava.

Si era alzata che ancora era buio, e girava per casa come se fosse impegnata a fare chissà quale cosa…ma cosa?

Cominciò a preparare: - Ecco, farina, uova, zucchero…il cremor di tartaro, dove ho messo il cremor di tartaro…senza quello i biscotti non gonfiano…-.

I biscotti, quelli che piacevano a suo figlio.

Giuseppe adorava i “raffaioli”.

Il suo Giuseppe…oggi sarebbe tornato…oggi era il giorno in cui si sarebbe sposato.

Giovanna cominciò a ripensare a quella telefonata ricevuta due giorni prima: - Mamma ci sposeremo dopodomani…sai, una cerimonia veloce in Campidoglio, poi un drink con gli amici, e subito in macchina per venire da te. Se riusciamo a partire attorno alle undici, penso che verso le sette, sette e mezzo, potremmo essere lì…-

Giuseppe, il suo unico figlio, sa solo Dio come lo aveva tirato su…e oggi si sposava.

Non era andata a Roma, non sarebbe mai andata.

Lei non amava spostarsi: era abituata a stare nel suo guscio, a pensare.

Solo una volta era andata, con quelli della parrocchia, al santuario di Gibilmanna. Un viaggio scomodo, tante ore di pullman. Tornò stanca. No…non le piaceva muoversi, poi…da quando dovette trasferirsi in quella casa…

Pensava: « Oggi Giuseppe si sposa…è diventato grande…».

Ricordava quando nacque: era sola con sua madre e la signora Rosina, la levatrice. Era una serata particolarmente ventosa, e lei, mentre Giuseppe stava per nascere, pensava a suo marito in mare, a tirare le reti…chissà cosa aveva pescato…con questo tempo, ma il mare, si sa, ha i suoi ritmi: c’è un tempo per calare la rete, c’è un tempo per tirarla su, e le veniva in mente anche una frase che aveva sentito in un film alla televisione: « C’è un tempo per nascere, e anche uno per morire…».

Un urlo! Giuseppe era nato: bello, roseo e con tanti capelli neri.

-Tuttu so’ patri - disse la signora Rosina.

“So’ patri” arrivò poco dopo: - Giovanna chè beddu, sumigghia a mia…-.

Pensava a tutto questo, la signora Giovanna.

L’impasto per i biscotti era quasi pronto. Doveva chiamare donna Gasperina, la fornaia: - Donna Gasperina…donna Gasperina, mi mannasse na’ teglia - urlò dalla balconata.

Da sotto il vicolo venne una voce: - Capia signora Giovanna ora ci nni mannu una ranni -.

Continuava a pensare a Giuseppe: quando cominciò a camminare…e poi il morbillo, le notti passate accanto al bambino con la sola compagnia della luce fioca di un lume con una lampada da quindici watt, e in più coperta da un centrino per non farla espandere troppo…- U picciriddu iavi a ripusari -… Lei stava vicino al bambino febbricitante, misurandogli il respiro. Fuori il mare ripeteva quel suono con un volume maggiore.

A Roccalumera, di notte, il rumore del mare fa più paura che compagnia, ma lei era abituata a quel mare che stava dando da che vivere alla sua famiglia.

Suo marito, era in quel mare, e gli stava rubando i pesci…

Un tocco all’uscio, la riportò alla realtà, era arrivata la teglia: - Dissi a signura Gasperina chi appena è pronta, mi ci fa na’ buci -.

I biscotti. Secondo i suoi calcoli, Giuseppe avrebbe dovuto trovarli ancora tiepidi.

Che cosa bella, oggi Giuseppe si sposava. Sarebbe tornato a casa con sua moglie.

Moglie: che parola grossa.

Cominciò a mettere la carta sul fondo della teglia, e pensava che quando faceva i biscotti a Giuseppe bambino, lui si divertiva a staccarli dalla carta appena sfornati, per mangiare le crosticine che rimanevano attaccate…

Giuseppe a scuola, Giuseppe che imparava a leggere e a scrivere, suo marito che tornava con le ceste piene di pesci e che, prima di portarle al “riattere” sceglieva i migliori per lei e il bambino: - Varda chi bellu merluzzo ppu’ picciriddu, faccillu in bianco -.

Che bella famigliola, tutti in paese l’invidiavano.

Com’erano belle quelle mattine di Domenica profumate di ragù, quando Gino, suo marito, si prendeva il bambino per andare in Chiesa. Lei lo preparava lo pettinava lo agghindava per il giorno di festa, e lui se lo portava dietro quasi ostentandolo, con orgoglio.

- Gino, quando mi porti a fare una gita in barca…me l’hai sempre promesso. Iavi ‘na vita chi ttu dicu…-.

- Ti prometto che appena il tempo si rimette, vengo, ti pigghiu e andiamo a farci na’ barchiata, io e tu…soli…-. E pronunciava quel “soli” socchiudendo gli occhi, e sorridendo con un po’ di mistero e…tanta malizia.

L’impasto dei biscotti ora prendeva forma sotto le mani sapienti della signora Giovanna, e le “esse” si allineavano nella teglia in perfetto ordine.

« Devo fare in tempo » era il suo unico pensiero, in quella mattinata.

Pensava al primo giorno di scuola media di Giuseppe: lo vide “grande” per la prima volta. Andava a scuola molto volentieri, non avendo fratelli, trovava nei compagni quella brigata di cui sentiva il bisogno.

Giovanna, però aveva un solo cruccio, la scuola era nella parte alta del paese, sulla strada per Rocchenere, vicino la casa della nonna così, spesso, il ragazzo restava lì a mangiare e a fare i compiti.

Le mancava quel figlio, fino al tardo pomeriggio quando tornava a casa, e a ogni rientro era una festa: - Che hai fatto a scuola…com’è andata…sta tornando papà, fatti vedere pettinato…-.

Ricordava ancora quella sera: Gino era tornato preoccupato, avevano “calato” il “tre maglie”, ma il tempo non prometteva nulla di buono per quella notte. Era tornato per vedere Giuseppe, che però si era già addormentato.

Sembrava che avesse un presentimento.

Lo stava ancora guardando, quando qualcuno chiamò: - Ginu, scinni, u mari si sta puttannu a riti…-. Baciò il bambino, salutò in fretta la moglie e scese.

Giovanna andò a letto, ma non riusciva a prender sonno, angosciata dai pensieri e dal frastuono del mare.

La mattina seppe, con atroce certezza, che Gino non sarebbe più tornato.

Nei giorni che seguirono, si accorse che Giuseppe si tappava spesso le orecchie con le mani, capì che odiava il rumore del mare, di quel mare che quella notte, presentò il conto del pescato esigendo una vita.

Si trasferì a casa della madre, del resto era più vicina alla scuola, e poi da quella casa non si sentiva il mare

Dovette mettere in pratica ciò che aveva imparato da ragazza, quando andava “a discipula” per imparare l’arte della sarta e del ricamo, e così riuscì ad andare avanti, anche con privazioni e rinunce, ma senza far mancare niente a suo figlio.

Giuseppe cresceva, e cresceva bene, ora andava al superiore, ed ogni mattina prendeva la corriera per il paese vicino, dove frequentava il liceo.

Quando la nonna morì, Giuseppe propose alla madre, di trasferirsi addirittura in città, ma lei si rifiutò di lasciare quella casa.

Giuseppe doveva andare all’Università: - Mamma che io vada a Messina, a Palermo o a Roma è uguale, tanto ti starei lontano lo stesso, ma a Roma ho più possibilità, e poi ci sta Padre Liborio dei Rogazionisti, che mi ha promesso alloggio in cambio di qualche aiuto che potrei dare alla congregazione -.

La signora Giovanna accettò, anche se a malincuore, ma l’avvenire di suo figlio era più importante.

Dovette vendere la casa giù alla marina, e anche quella della nonna, del resto non le sarebbero servite più a niente. Dopo la morte del marito non ci aveva più messo piede, e allora meglio così, quei soldi sarebbero serviti per mantenere Giuseppe a Roma.

Si trasferì nell’ultima casetta che le era rimasta: quella di Mandanici

Gli anni passavano e il ragazzo, ormai uomo, si trovava benissimo nella Capitale.

Tornava in estate, ma si sa i ragazzi fuori fanno tante amicizie, e spesso si organizzano. Così, un giorno: - Pronto mamma, come stai? Sai ho l’occasione di andare in vacanza in montagna, con i miei colleghi. Quest’anno non verrò giù…ci vedremo a Natale…-.

Dopo un po’ di tempo, le “Pasque” non esistettero più, e poco dopo neanche i “Natali”.

Le telefonate diradavano: - Mamma sono molto impegnato, sai padre Liborio mi ha fatto assumere come bibliotecario; ormai guadagno, non preoccuparti per me, non mandarmi soldi, mi trovo molto bene qui. Scusa se non posso venire, ma fra tutto il lavoro che devo fare, e gli ultimi ritocchi per la tesi, non mi posso muovere…Ti voglio bene -.

Quel “ti voglio bene”, messo lì, quasi con ingenuità, ripagò Giovanna dal dispiacere che le avevano dato le parole del figlio.

Non voleva più soldi Giuseppe, non sapeva però che lei non ne aveva più. Quelli che, con tanto sacrificio, era riuscita a mettere da parte erano ormai finiti e, se il figlio non le avesse dato quella notizia, Giovanna era già pronta a vendere anche la casa della nonna.

Un bel giorno, finalmente Giuseppe tornò, con tanto di laurea e una borsa di studio per l’Olanda: - Mamma tu non ti vuoi muovere, lo so, ma io devo andare, si tratta del mio futuro…-. Istintivamente Giovanna pensò: « E il mio?…».

Le venne in mente di quella volta quando le si presentò l’occasione di risposarsi, del resto era ancora giovane e certamente non brutta; rifiutò perché il suo pretendente le aveva proposto di mandare Giuseppe in collegio…No…non lo avrebbe mai lasciato in mano ad estranei…con un po’ d’amarezza ripensò, a suo figlio, che invece non aveva avuto nessuna remora a lasciarla sola.

I biscotti erano ormai pronti per essere infornati.

« Sono quasi le undici, a quest’ora saranno già partiti. Ora preparo il letto grande. E per cena? Che faccio per cena? ». S’interrogava Giovanna. Si affacciò alla balconata: - Signora Gasperina…è pronto! -.

Dopo qualche minuto, qualcuno venne a ritirare la teglia. Tornò sul balcone, c’era un po’ di freschetto: - Preparerò il braciere, voglio che stasera trovino la casa calda -.

Apparecchiò il letto con le lenzuola “buone”, quelle del corredo. Poi aggiustò il lettino del figlio per sé.

Giuseppe ora si era sposato, e stava tornando a casa per farle vedere la moglie, questa moglie che lei non conosceva, se non attraverso le poche lettere che aveva mandato il figlio dall’Olanda. Le aveva detto che l’aveva conosciuta a Delft (non sapeva neanche, dove fosse) e che era alta e bionda, di lei sapeva solo questo. Non sapeva chi fosse, non ne conosceva le origini, l’aveva materializzata soltanto attraverso una foto che Giuseppe le aveva spedito in occasione degli auguri per Natale.

Del resto, lui doveva fare la sua vita.

S’imponeva di non essere gelosa, si sforzava di essere moderna, come “consigliava” l’ultima telenovela che le aveva fatto compagnia.

Cercò di riordinarsi le idee: i biscotti erano già in forno, la camere da letto era pronta. Prese un pezzo di pane, ma lo sbocconcellò appena. Non aveva fame. Il suo unico pensiero era che Giuseppe stava tornando, questo solo contava…

Chissà dove poteva essere. Non aveva molto presente la strada da Roma alla Sicilia, anzi non la conosceva per niente, ma si sforzava di individuare dove potesse essere arrivata la macchina del figlio, con l’ausilio di un’improbabile telepatia o con la “ vuci du’ cori ”.

Il sole era ormai alto, e illuminava il paesaggio con lo stradale pronto ad accogliere l’auto di Giuseppe.

Il suo pensiero adesso andava a come si sarebbe dovuta vestire, come avrebbe dovuto parlare con questa nuora, anche se Giuseppe le aveva detto che parlava un po’ l’italiano. Era visibilmente confusa: troppe cose in un giorno solo.

« La cena...ecco di cosa mi stavo dimenticando: della cena. Che cosa posso fare per cena?… Ho trovato: li porto in quella pizzeria sulla riviera, al porticciolo. No, forse è meglio di no, per Giuseppe, il mare è troppo vicino, se ne sente il rumore. Quello è un suono che lui ha voluto dimenticare…».

Le venne in mente il ristorante tipico, oltre il “Ponte della Provvidenza”: « Dicono che si mangi bene: vengono pure dalla città ».

Era riuscita a mettere da parte qualche soldo, del resto la professione di “sartina” le aveva permesso di mantenersi dignitosamente.

Quel po’ che le aveva lasciato la madre, e quello che era riuscita a racimolare dalle vendite, era servito per mantenere il ragazzo fuori casa.

Aveva fatto tanti sacrifici per tirare su Giuseppe. Avesse almeno avuto un fratello, una sorella, ma non aveva nessuno. Pensava che ormai era sola al mondo, ma aveva suo figlio: Giuseppe che ora tornava. Si era sposato e chissà se presto le avrebbe dato un nipotino, un bambino che zampettasse per casa chiamandola nonna.

Questi pensieri confusi, accavallati, ipotetici la rendevano quasi euforica…

« Ha detto che sarà qui alle sette, sono quasi le cinque fra un paio d’ore lo riabbraccerò…Si, si, è meglio che mi metta il vestito con i fiorellini blu – rise – del resto di buono ho solo quello…».

Le ore passavano e la signora Giovanna si sentiva sempre più agitata.

« Chissà com’è adesso, è più di un anno che non lo vedo…l’ultima volta che è venuto è stato tredici mesi fa, per il congresso a Palermo…si fermò solo una notte…povero figlio mio, quanto lavora. E ora si sposa, anzi no, è già sposato ».

Il bussare alla porta, la distolse da quei pensieri aprì: - Signora Gasperina, è salita lei a portare i biscotti, sono venuti bene?…Giuseppe ne sarà felice. Ne ho fatti molti così se li porta e se li mangia con sua moglie -.

Alla parola “moglie” si fermò: che parola difficile per una madre! Eppure, suo figlio c’era arrivato.

La signora Gasperina uscì lasciandola sola con i suoi pensieri.

« Dove sarà a quest’ora…potrebbe pure telefonare, ha uno di quei telefoni piccoli, piccoli…potrebbe telefonare. Certo, starà guidando e non può, ma sua moglie potrebbe pure telefonare… già, non parla bene l’italiano…».

Era pronta a giustificare ogni atteggiamento di Giuseppe.

Aprì il balcone, l’aria era frizzante: l’ultimo colpo di coda dell’inverno. Decise di fare il braciere. Ci teneva a quel braciere, aveva riscaldato tante notti fredde. Le aveva fatto anche tanta compagnia, quando guardava le “lucine” che si nascondevano tra i carboni e la cenere. Ci giocava con Giuseppe, quando tenendolo in braccio, gli diceva, che il braciere era la casa degli gnomi, e ogni lucina che si spegneva era uno di quegli esserini che andava a letto. Il bambino osservava, e quando qualche carbone acceso resisteva, diceva che forse era il farmacista, che era quello che lavorava sino a notte fonda. Poi si addormentava, lei piano piano lo metteva nel suo lettino, ritornava a sedersi e coprendosi con lo scialle aspettava il ritorno del marito.

Cominciò a preparare il carbone, fece il castelletto, poi cercò la carbonella le mancava la carbonella, la “ginisa”, si affacciò: - Donna Gasperina, o donna Gasperina…-.

- Chi c’e – fu la risposta – chi fu, i biscotti non vinniru boni? -

- No, anzi, buonissimi. Mi giuviria na pocu i ginisa pu’ bracieri -.

- Ancora cu stu bracieri, picchì non s’accatta ‘na bella stufa a gas – e poi – cià pottu subito -.

Era troppo attaccata a quel braciere: il grande disco di legno con il buco per accogliere il contenitore di rame sbalzato. Era di sua madre o di sua nonna, non lo ricordava più. L’aveva visto da sempre in casa, e poi era un oggetto per cui molti antiquari avrebbero fatto pazzie.

Lei ne possedeva uno, e per giunta funzionante. Quel braciere faceva parte del suo passato, e forse anche un po’ della sua vita.

La signora Gasperina era arrivata con un sacchetto pieno della famosa ginisa: - Ecco, scupai tuttu u furnu, ci basta? Lei è fissata cu sta cosa, quanti voti cci lle diri, picchì non s’accatta na’ stufa ca’ bombola: è pulita e na fa nesciri paccia p’addumalla…A ccu cci ll’ava a sabbari i soddi? Nni fici picca sacrifici pi so’ figghiu…si gudissi a’ vita…-.

Aveva fatto sacrifici, è vero, ma in quanto a godersi la vita, non sarebbe stata certo una stufa a gas a fare il miracolo: - Ma che sta dicendo signora Gasperina, iò campai ppi me’ figghiu, chidda era a me’ vita! Ma ci pensa, stasira torna, torna Giuseppe e torna maritatu. Ppi mia è chistu u’ miraculu, purria moriri subitu dopo chi lu vitti…moriria felici, ma ci pensa, ci pensa chi stasira arriva Giuseppe…-.

Era piena di gioia. La signora Gasperina, guardandola, le vide gli occhi lucidi. Ebbe solo il coraggio di dirle: - Non parrassi accussì, lei si deve godere so’ figghiu e tutti i so’ niputi…su merita, pi tuttu chuddu chi fici – fece una piccola pausa e poi aggiunse – anche se Giuseppe…-.

Si fermò subito, capì che non avrebbe dovuto fare alcun apprezzamento sulla condotta del figlio nei suoi riguardi. Guardava la signora Giovanna che armeggiava attorno al braciere e le vide gli occhi pieni di lacrime. Cambiò subito discorso: - A libirau a teglia? Ma pozzu puttari? -.

La signora Giovanna aveva messo il braciere sul balcone in modo che la brezza potesse alimentare il fuoco ed eliminare l’anidride.

Era pensierosa: quel “...anche se Giuseppe…” buttato lì per caso, le aveva aperto una ferita fatta di assenze, messaggi e visite sperate, attese e mai ricevute.

Ormai il sole era “calato”. La signora Gasperina si accingeva a uscire con la teglia in mano: - Me ne vado signora iavi bisogno i nenti?-. - No grazie, ora mi sistemu il braciere chi tra poco arriva Giuseppe…anzi, mi facissi un favore, quannu nesci lasciassi a porta un po’ socchiusa, così l’aria gira e poi si dovessi addurmintarmi, Giuseppe la troviria aperta -.

Mise il braciere in mezzo alla stanza, prese la poltrona con i braccioli e la sistemò proprio lì davanti, in modo che potesse scaldarsi e anche controllare l’ingresso.

Buona serata signora Giovanna – disse Gasperina uscendo – dumani ca’ matina passu a salutari Giuseppe -. Distrattamente, si tirò dietro la porta.

La signora Giovanna ora si era ripresa, era quasi euforica, aveva già dimenticato la battuta di Gasperina, anche se l’aveva fatta soffrire: non avrebbe mai ammesso critiche sul comportamento di Giuseppe.

Andò in camera da letto e s’infilò il vestito buono, si pettinò, voleva che il figlio la vedesse in ordine. Tornò in soggiorno, accese il televisore. Non c’era niente che la potesse interessare, lo spense, rimestò un po’ nel braciere: - Mi pare che sta ginisa è un pocu umida…-.

La luce della luna piena entrava dal balcone: « Quant’è bello stasera, che pace » pensò. Spense il lampadario e accese la vecchia lampada dalla luce fioca, quella che le ricordava Giuseppe piccolo, quello stesso Giuseppe che, come per miracolo, fra poco sarebbe tornato, grande e sposato.

Cominciò ad agitarsi: fra poco lui sarebbe arrivato, non voleva guardare l’orologio per timore che fosse presto e avrebbe dovuto aspettare ancora. Si sedette davanti al braciere: - Ma che javi sta ginisa, fa un ciauru strano…-. Rimestò il carbone col ferro e alcune scintille si sparsero per la stanza.

- Mamma i giochi i focu -. Ricordava le parole di Giuseppe quando da piccolo guardava il braciere scintillare.

Cominciò a sentire sonno, ma cercava di resistere…ogni tanto la testa le si appesantiva, e lei si imponeva di reagire: - Mi gira la testa..sarà perché oggi non ho mangiato…-.

Capì che si stava assopendo.

Ora sentiva strani rumori, come il battere ritmico di remi sugli scalmi, e poi uno sciabordio: - E’ impossibile - pensò - come posso sentire il rumore del mare da quassù…-. Adesso il suono ovattato dei remi tirati in secco era chiarissimo.

Alzò lo sguardo: nel vano del balcone, in controluce dalla luna, una sagoma: - Giuseppe… - cercò di gridare , ma la voce non venne fuori.

- Giovanna, sono io, Gino…non devi avere paura…Come sei bella con questo vestito…sei già pronta?…Vieni, ti avevo promesso una gita in barca, e ora sono venuto a prenderti…su andiamo -.

- Ma…e Giuseppe?…Giuseppe sta arrivando... non lo aspettiamo? -.

- No, Giuseppe ormai è grande, non ha più bisogno di noi, e poi ormai è sposato…vieni andiamo…-.

La signora Giovanna porse la mano al marito, si sentiva leggera, e finalmente felice, felice come non mai: - Hai ragione Gino, andiamo, ho atteso una vita questo giro in barca con te…noi due soli…-. E marcò il “soli” sorridendo con un po’ di mistero e…tanta dolcezza.

La barca si mosse leggera…

Nella valle di Mandanici, qualcuno udì l’eco di uno strano battere di remi sugli scalmi: non avrebbe mai potuto immaginare cosa stava succedendo…

La porta chiusa e l’anidride carbonica avevano fatto il loro lavoro…in qualche modo erano riuscite a rendere felice la signora Giovanna…

…La macchina correva nella notte sull’autostrada: - Senti Giuseppe, non credi che sarebbe meglio telefonare a tua madre e dirle che stasera non possiamo arrivare? Siamo partiti così tardi da Roma…-.

- Non ti preoccupare cara, la mamma è abituata ai miei ritardi e poi, a quest’ora, sarà già andata a letto. Arriveremo domani…le faremo una sorpresa -.

…E così dicendo Giuseppe fermò l’auto davanti ad un motel.

Giulio Romano