23 ottobre
2011
Giulio Romano
Lo
conoscevamo come insegnante, come architetto, come critico d'arte ma mai
avremmo immaginato che Giulio Romano fosse anche scrittore. E' versatile, è
poliedrico.
Siamo
piacevolmente attratti dalla sua facilità di scrittura con l'utilizzo di
termini che vale il piacere di leggere e ancor di più per la grande
attenzione,stima e affetto che dimostra nei confronti del nostro piccolo
paese. Non perde occasione di farci sentire concretamente la sua simpatia.
Approfitta di questo lavoro letterario “la signora Giovanna” per ambientare
parte del suo racconto anche a Mandanici facendoci venire l'acquolina in
bocca per via dei biscotti o per i “raffaioli” (forse fravioli fatti di
ricotta piatto tipico locale).
Usa tutta la
sua abilità per inserirvi nei meandri della trama di vicende inventate,
partorite dalla sua fervida fantasia anche uno spaccato di vita delle nostre
contrade e per quanto ci riguarda ricorda la trattoria del Cacciatore posta
oltre il “ponte della provvidenza” o più noto oggi come ponte di Pietrafitta.
Il braciere,
ormai sono in pochi a sapere di cosa parliamo, pieni come siamo di
termoconvertitori, di stufe a pellet, di stufe elettriche, di stufe a gas,
di termosifoni. Romano lo evoca, lo umanizza, lo rende crudele e assassino,
lo giustifica, lo gratifica perché ha il merito di riavvicinare la moglie al
marito morto giovane durante una notte scura mentre andava a rubare i pesci
al mare. L'anidride carbonica inodore e incolore e la porta chiusa ”in
qualche modo erano riuscite a rendere felice la signora Giovanna”.
Leggendo d'un
fiato il racconto abbiamo la percezione di conoscere personalmente donna
Giovanna e il suo figliolo Giuseppe mantenuto agli studi fuori dalla Sicilia
con grandi sacrifici economici e con grande sofferenza d'animo per la
lontananza. E' la storia vera di tante famiglie di Mandanici che hanno
dovuto sostenere sacrifici immensi pur di consentire ai loro figli di
studiare fuori Regione. L'autore sfiora con delicatezza anche il tema dei
matrimoni tra persone di diversa nazionalità. Donna Giovanna “si sforzava di
essere moderna” ma nella sua mente riappariva il famoso detto “donne e buoi
dei paesi tuoi”.
Senza
scandalizzare nessuno leggendo Romano si ha la sensazione di leggere le
opere verghiane.
LA SIGNORA
GIOVANNA
La sveglia era stata puntata alle sei, ma la Signora Giovanna
era già alzata quando trillò.
Il sole illuminava la valle, e il cielo prometteva una bella
giornata.
Giovanna prese un’altra tazzina di
caffè e guardò fuori; sì, sarebbe stata proprio una bella giornata.
Non aveva dormito molto, aveva passato la notte a pensare.
Pensava, pensava e non sapeva se il sonno non veniva per l’ansia, per la
gioia o forse per l’emozione: non sapeva come definire ciò che provava.
Si era alzata che ancora era buio, e girava per casa come se
fosse impegnata a fare chissà quale cosa…ma cosa?
Cominciò a preparare: - Ecco, farina, uova, zucchero…il
cremor di tartaro, dove ho messo il cremor di tartaro…senza quello i
biscotti non gonfiano…-.
I biscotti, quelli che
piacevano a suo figlio.
Giuseppe adorava i “raffaioli”.
Il suo Giuseppe…oggi sarebbe
tornato…oggi era il giorno in cui si sarebbe sposato.
Giovanna cominciò a ripensare a quella telefonata ricevuta
due giorni prima: - Mamma ci sposeremo dopodomani…sai, una cerimonia veloce
in Campidoglio, poi un drink con gli amici, e subito in macchina per venire
da te. Se riusciamo a partire attorno alle undici, penso che verso le sette,
sette e mezzo, potremmo essere lì…-
Giuseppe, il suo unico figlio, sa solo Dio come lo aveva
tirato su…e oggi si sposava.
Non era andata a Roma, non sarebbe mai andata.
Lei non amava spostarsi: era abituata a stare nel suo guscio,
a pensare.
Solo una volta era andata, con quelli della parrocchia, al
santuario di Gibilmanna. Un viaggio scomodo, tante ore di pullman. Tornò
stanca. No…non le piaceva muoversi, poi…da quando dovette trasferirsi in
quella casa…
Pensava: « Oggi Giuseppe si sposa…è diventato grande…».
Ricordava quando nacque: era sola con sua madre e la signora
Rosina, la levatrice. Era una serata particolarmente ventosa, e lei, mentre
Giuseppe stava per nascere, pensava a suo marito in mare, a tirare le
reti…chissà cosa aveva pescato…con questo tempo, ma il mare, si sa, ha i
suoi ritmi: c’è un tempo per calare la rete, c’è un tempo per tirarla su, e
le veniva in mente anche una frase che aveva sentito in un film alla
televisione: « C’è un tempo per nascere, e anche uno per morire…».
Un urlo! Giuseppe era nato: bello, roseo e con tanti capelli
neri.
-Tuttu so’ patri - disse la signora Rosina.
“So’ patri” arrivò poco dopo: - Giovanna chè beddu, sumigghia
a mia…-.
Pensava a tutto questo, la signora Giovanna.
L’impasto per i biscotti era quasi pronto. Doveva chiamare
donna Gasperina, la fornaia: - Donna Gasperina…donna Gasperina, mi mannasse
na’ teglia - urlò dalla balconata.
Da sotto il vicolo venne una voce: - Capia signora Giovanna
ora ci nni mannu una ranni -.
Continuava a pensare a Giuseppe: quando cominciò a
camminare…e poi il morbillo, le notti passate accanto al bambino con la sola
compagnia della luce fioca di un lume con una lampada da quindici watt, e in
più coperta da un centrino per non farla espandere troppo…- U picciriddu
iavi a ripusari -… Lei stava vicino al bambino febbricitante, misurandogli
il respiro. Fuori il mare ripeteva quel suono con un volume maggiore.
A Roccalumera, di notte, il rumore del mare fa più paura che
compagnia, ma lei era abituata a quel mare che stava dando da che vivere
alla sua famiglia.
Suo marito, era in quel
mare, e gli stava rubando i pesci…
Un tocco all’uscio, la riportò alla realtà, era arrivata la
teglia: - Dissi a signura Gasperina chi appena è pronta, mi ci fa na’ buci
-.
I biscotti. Secondo i suoi calcoli, Giuseppe avrebbe dovuto
trovarli ancora tiepidi.
Che cosa bella, oggi Giuseppe si sposava. Sarebbe tornato a
casa con sua moglie.
Moglie: che parola grossa.
Cominciò a mettere la carta sul fondo della teglia, e pensava
che quando faceva i biscotti a Giuseppe bambino, lui si divertiva a
staccarli dalla carta appena sfornati, per mangiare le crosticine che
rimanevano attaccate…
Giuseppe a scuola, Giuseppe che imparava a leggere e a
scrivere, suo marito che tornava con le ceste piene di pesci e che, prima di
portarle al “riattere” sceglieva i migliori per lei e il bambino: - Varda
chi bellu merluzzo ppu’ picciriddu, faccillu in bianco -.
Che bella famigliola, tutti in paese l’invidiavano.
Com’erano belle quelle mattine di Domenica profumate di ragù,
quando Gino, suo marito, si prendeva il bambino per andare in Chiesa. Lei lo
preparava lo pettinava lo agghindava per il giorno di festa, e lui se lo
portava dietro quasi ostentandolo, con orgoglio.
- Gino, quando mi porti a fare una gita in barca…me l’hai
sempre promesso. Iavi ‘na vita chi ttu dicu…-.
- Ti prometto che appena il
tempo si rimette, vengo, ti pigghiu e andiamo a farci na’ barchiata, io e
tu…soli…-. E pronunciava quel “soli” socchiudendo gli occhi, e sorridendo
con un po’ di mistero e…tanta malizia.
L’impasto dei biscotti ora
prendeva forma sotto le mani sapienti della signora Giovanna, e le “esse” si
allineavano nella teglia in perfetto ordine.
« Devo fare in tempo » era il suo unico pensiero, in quella
mattinata.
Pensava al primo giorno di scuola media di Giuseppe: lo vide
“grande” per la prima volta. Andava a scuola molto volentieri, non avendo
fratelli, trovava nei compagni quella brigata di cui sentiva il bisogno.
Giovanna, però aveva un solo cruccio, la scuola era nella
parte alta del paese, sulla strada per Rocchenere, vicino la casa della
nonna così, spesso, il ragazzo restava lì a mangiare e a fare i compiti.
Le mancava quel figlio, fino al tardo pomeriggio quando
tornava a casa, e a ogni rientro era una festa: - Che hai fatto a
scuola…com’è andata…sta tornando papà, fatti vedere pettinato…-.
Ricordava ancora quella sera: Gino era tornato preoccupato,
avevano “calato” il “tre maglie”, ma il tempo non prometteva nulla di buono
per quella notte. Era tornato per vedere Giuseppe, che però si era già
addormentato.
Sembrava che avesse un
presentimento.
Lo stava ancora guardando, quando qualcuno chiamò: - Ginu,
scinni, u mari si sta puttannu a riti…-. Baciò il bambino, salutò in fretta
la moglie e scese.
Giovanna andò a letto, ma non riusciva a prender sonno,
angosciata dai pensieri e dal frastuono del mare.
La mattina seppe, con atroce certezza, che Gino non sarebbe
più tornato.
Nei giorni che seguirono, si accorse che Giuseppe si tappava
spesso le orecchie con le mani, capì che odiava il rumore del mare, di quel
mare che quella notte, presentò il conto del pescato esigendo una vita.
Si trasferì a casa della madre, del resto era più vicina alla
scuola, e poi da quella casa non si sentiva il mare
Dovette mettere in pratica ciò che aveva imparato da ragazza,
quando andava “a discipula” per imparare l’arte della sarta e del ricamo, e
così riuscì ad andare avanti, anche con privazioni e rinunce, ma senza far
mancare niente a suo figlio.
Giuseppe cresceva, e cresceva bene, ora andava al superiore,
ed ogni mattina prendeva la corriera per il paese vicino, dove frequentava
il liceo.
Quando la
nonna morì, Giuseppe propose alla madre, di trasferirsi addirittura in
città, ma lei si rifiutò di lasciare quella casa.
Giuseppe doveva andare all’Università: - Mamma che io vada a
Messina, a Palermo o a Roma è uguale, tanto ti starei lontano lo stesso, ma
a Roma ho più possibilità, e poi ci sta Padre Liborio dei Rogazionisti, che
mi ha promesso alloggio in cambio di qualche aiuto che potrei dare alla
congregazione -.
La signora Giovanna accettò, anche se a malincuore, ma
l’avvenire di suo figlio era più importante.
Dovette vendere la casa giù alla marina, e anche quella della
nonna, del resto non le sarebbero servite più a niente. Dopo la morte del
marito non ci aveva più messo piede, e allora meglio così, quei soldi
sarebbero serviti per mantenere Giuseppe a Roma.
Si trasferì nell’ultima casetta che le era rimasta: quella di
Mandanici
Gli anni passavano e il ragazzo, ormai uomo, si trovava
benissimo nella Capitale.
Tornava in estate, ma si sa i ragazzi fuori fanno tante
amicizie, e spesso si organizzano. Così, un giorno: - Pronto mamma, come
stai? Sai ho l’occasione di andare in vacanza in montagna, con i miei
colleghi. Quest’anno non verrò giù…ci vedremo a Natale…-.
Dopo un po’ di tempo, le “Pasque” non esistettero più, e poco
dopo neanche i “Natali”.
Le telefonate diradavano: - Mamma sono molto impegnato, sai
padre Liborio mi ha fatto assumere come bibliotecario; ormai guadagno, non
preoccuparti per me, non mandarmi soldi, mi trovo molto bene qui. Scusa se
non posso venire, ma fra tutto il lavoro che devo fare, e gli ultimi
ritocchi per la tesi, non mi posso muovere…Ti voglio bene -.
Quel “ti voglio bene”, messo lì, quasi con ingenuità, ripagò
Giovanna dal dispiacere che le avevano dato le parole del figlio.
Non voleva più soldi Giuseppe, non sapeva però che lei non ne
aveva più. Quelli che, con tanto sacrificio, era riuscita a mettere da parte
erano ormai finiti e, se il figlio non le avesse dato quella notizia,
Giovanna era già pronta a vendere anche la casa della nonna.
Un bel giorno, finalmente Giuseppe tornò, con tanto di laurea
e una borsa di studio per l’Olanda: - Mamma tu non ti vuoi muovere, lo so,
ma io devo andare, si tratta del mio futuro…-. Istintivamente Giovanna
pensò: « E il mio?…».
Le venne in mente di quella volta quando le si presentò
l’occasione di risposarsi, del resto era ancora giovane e certamente non
brutta; rifiutò perché il suo pretendente le aveva proposto di mandare
Giuseppe in collegio…No…non lo avrebbe mai lasciato in mano ad estranei…con
un po’ d’amarezza ripensò, a suo figlio, che invece non aveva avuto nessuna
remora a lasciarla sola.
I biscotti erano ormai pronti per essere infornati.
« Sono quasi le undici, a quest’ora saranno già partiti. Ora
preparo il letto grande. E per cena? Che faccio per cena? ». S’interrogava
Giovanna. Si affacciò alla balconata: - Signora Gasperina…è pronto! -.
Dopo qualche minuto, qualcuno venne a ritirare la teglia.
Tornò sul balcone, c’era un po’ di freschetto: - Preparerò il braciere,
voglio che stasera trovino la casa calda -.
Apparecchiò il letto con le lenzuola “buone”, quelle del
corredo. Poi aggiustò il lettino del figlio per sé.
Giuseppe ora si era sposato, e stava
tornando a casa per farle vedere la moglie, questa moglie che lei non
conosceva, se non attraverso le poche lettere che aveva mandato il figlio
dall’Olanda. Le aveva detto che l’aveva conosciuta a Delft (non sapeva
neanche, dove fosse) e che era alta e bionda, di lei sapeva solo questo. Non
sapeva chi fosse, non ne conosceva le origini, l’aveva materializzata
soltanto attraverso una foto che Giuseppe le aveva spedito in occasione
degli auguri per Natale.
Del resto, lui doveva fare la sua vita.
S’imponeva di non essere gelosa, si sforzava di essere
moderna, come “consigliava” l’ultima telenovela che le aveva fatto
compagnia.
Cercò di riordinarsi le idee: i biscotti erano già in forno,
la camere da letto era pronta. Prese un pezzo di pane, ma lo sbocconcellò
appena. Non aveva fame. Il suo unico pensiero era che Giuseppe stava
tornando, questo solo contava…
Chissà dove poteva essere. Non aveva molto presente la strada
da Roma alla Sicilia, anzi non la conosceva per niente, ma si sforzava di
individuare dove potesse essere arrivata la macchina del figlio, con
l’ausilio di un’improbabile telepatia o con la “ vuci du’ cori ”.
Il sole era ormai alto, e illuminava il paesaggio con lo
stradale pronto ad accogliere l’auto di Giuseppe.
Il suo pensiero adesso andava a come si sarebbe dovuta
vestire, come avrebbe dovuto parlare con questa nuora, anche se Giuseppe le
aveva detto che parlava un po’ l’italiano. Era visibilmente confusa: troppe
cose in un giorno solo.
« La cena...ecco di cosa mi stavo dimenticando: della cena.
Che cosa posso fare per cena?… Ho trovato: li porto in quella pizzeria sulla
riviera, al porticciolo. No, forse è meglio di no, per Giuseppe, il mare è
troppo vicino, se ne sente il rumore. Quello è un suono che lui ha voluto
dimenticare…».
Le venne in mente il ristorante tipico, oltre il “Ponte della
Provvidenza”: « Dicono che si mangi bene: vengono pure dalla città ».
Era riuscita a mettere da parte qualche soldo, del resto la
professione di “sartina” le aveva permesso di mantenersi dignitosamente.
Quel po’ che le aveva lasciato la madre, e quello che era
riuscita a racimolare dalle vendite, era servito per mantenere il ragazzo
fuori casa.
Aveva fatto tanti sacrifici per tirare su Giuseppe. Avesse
almeno avuto un fratello, una sorella, ma non aveva nessuno. Pensava che
ormai era sola al mondo, ma aveva suo figlio: Giuseppe che ora tornava. Si
era sposato e chissà se presto le avrebbe dato un nipotino, un bambino che
zampettasse per casa chiamandola nonna.
Questi pensieri confusi, accavallati, ipotetici la rendevano
quasi euforica…
« Ha detto che sarà qui alle sette, sono quasi le cinque fra
un paio d’ore lo riabbraccerò…Si, si, è meglio che mi metta il vestito con i
fiorellini blu – rise – del resto di buono ho solo quello…».
Le ore passavano e la signora Giovanna si sentiva sempre più
agitata.
« Chissà com’è adesso, è più di un anno che non lo
vedo…l’ultima volta che è venuto è stato tredici mesi fa, per il congresso a
Palermo…si fermò solo una notte…povero figlio mio, quanto lavora. E ora si
sposa, anzi no, è già sposato ».
Il bussare alla porta, la distolse da quei pensieri aprì: -
Signora Gasperina, è salita lei a portare i biscotti, sono venuti
bene?…Giuseppe ne sarà felice. Ne ho fatti molti così se li porta e se li
mangia con sua moglie -.
Alla parola “moglie” si fermò: che parola difficile per una
madre! Eppure, suo figlio c’era arrivato.
La signora Gasperina uscì lasciandola sola con i suoi
pensieri.
« Dove sarà a quest’ora…potrebbe pure telefonare, ha uno di
quei telefoni piccoli, piccoli…potrebbe telefonare. Certo, starà guidando e
non può, ma sua moglie potrebbe pure telefonare… già, non parla bene
l’italiano…».
Era pronta a giustificare ogni atteggiamento di Giuseppe.
Aprì il balcone, l’aria era frizzante: l’ultimo colpo di coda
dell’inverno. Decise di fare il braciere. Ci teneva a quel braciere, aveva
riscaldato tante notti fredde. Le aveva fatto anche tanta compagnia, quando
guardava le “lucine” che si nascondevano tra i carboni e la cenere. Ci
giocava con Giuseppe, quando tenendolo in braccio, gli diceva, che il
braciere era la casa degli gnomi, e ogni lucina che si spegneva era uno di
quegli esserini che andava a letto. Il bambino osservava, e quando qualche
carbone acceso resisteva, diceva che forse era il farmacista, che era quello
che lavorava sino a notte fonda. Poi si addormentava, lei piano piano lo
metteva nel suo lettino, ritornava a sedersi e coprendosi con lo scialle
aspettava il ritorno del marito.
Cominciò a preparare il carbone, fece il castelletto, poi
cercò la carbonella le mancava la carbonella, la “ginisa”, si affacciò: -
Donna Gasperina, o donna Gasperina…-.
- Chi c’e – fu la risposta – chi fu, i biscotti non vinniru
boni? -
- No, anzi, buonissimi. Mi giuviria na pocu i ginisa pu’
bracieri -.
- Ancora cu stu bracieri,
picchì non s’accatta ‘na bella stufa a gas – e poi – cià pottu subito -.
Era troppo attaccata a quel
braciere: il grande disco di legno con il buco per accogliere il contenitore
di rame sbalzato. Era di sua madre o di sua nonna, non lo ricordava più.
L’aveva visto da sempre in casa, e poi era un oggetto per cui molti
antiquari avrebbero fatto pazzie.
Lei ne possedeva uno, e per giunta funzionante. Quel braciere
faceva parte del suo passato, e forse anche un po’ della sua vita.
La signora Gasperina era arrivata con un sacchetto pieno
della famosa ginisa: - Ecco, scupai tuttu u furnu, ci basta? Lei è fissata
cu sta cosa, quanti voti cci lle diri, picchì non s’accatta na’ stufa ca’
bombola: è pulita e na fa nesciri paccia p’addumalla…A ccu cci ll’ava a
sabbari i soddi? Nni fici picca sacrifici pi so’ figghiu…si gudissi a’
vita…-.
Aveva fatto sacrifici, è vero, ma in quanto a godersi la
vita, non sarebbe stata certo una stufa a gas a fare il miracolo: - Ma che
sta dicendo signora Gasperina, iò campai ppi me’ figghiu, chidda era a me’
vita! Ma ci pensa, stasira torna, torna Giuseppe e torna maritatu. Ppi mia è
chistu u’ miraculu, purria moriri subitu dopo chi lu vitti…moriria felici,
ma ci pensa, ci pensa chi stasira arriva Giuseppe…-.
Era piena di gioia. La signora Gasperina, guardandola, le
vide gli occhi lucidi. Ebbe solo il coraggio di dirle: - Non parrassi
accussì, lei si deve godere so’ figghiu e tutti i so’ niputi…su merita, pi
tuttu chuddu chi fici – fece una piccola pausa e poi aggiunse – anche se
Giuseppe…-.
Si fermò subito, capì che non avrebbe dovuto fare alcun
apprezzamento sulla condotta del figlio nei suoi riguardi. Guardava la
signora Giovanna che armeggiava attorno al braciere e le vide gli occhi
pieni di lacrime. Cambiò subito discorso: - A libirau a teglia? Ma pozzu
puttari? -.
La signora Giovanna aveva messo il braciere sul balcone in
modo che la brezza potesse alimentare il fuoco ed eliminare l’anidride.
Era pensierosa: quel “...anche se Giuseppe…” buttato lì per
caso, le aveva aperto una ferita fatta di assenze, messaggi e visite
sperate, attese e mai ricevute.
Ormai il sole era “calato”. La signora Gasperina si accingeva
a uscire con la teglia in mano: - Me ne vado signora iavi bisogno i nenti?-.
- No grazie, ora mi sistemu il braciere chi tra poco arriva Giuseppe…anzi,
mi facissi un favore, quannu nesci lasciassi a porta un po’ socchiusa, così
l’aria gira e poi si dovessi addurmintarmi, Giuseppe la troviria aperta -.
Mise il braciere in mezzo alla stanza, prese la poltrona con
i braccioli e la sistemò proprio lì davanti, in modo che potesse scaldarsi e
anche controllare l’ingresso.
Buona serata signora Giovanna – disse Gasperina uscendo –
dumani ca’ matina passu a salutari Giuseppe -. Distrattamente, si tirò
dietro la porta.
La signora Giovanna ora si era
ripresa, era quasi euforica, aveva già dimenticato la battuta di Gasperina,
anche se l’aveva fatta soffrire: non avrebbe mai ammesso critiche sul
comportamento di Giuseppe.
Andò in
camera da letto e s’infilò il vestito buono, si pettinò, voleva che il
figlio la vedesse in ordine. Tornò in soggiorno, accese il televisore. Non
c’era niente che la potesse interessare, lo spense, rimestò un po’ nel
braciere: - Mi pare che sta ginisa è un pocu umida…-.
La luce della luna piena
entrava dal balcone: « Quant’è bello stasera, che pace » pensò. Spense il
lampadario e accese la vecchia lampada dalla luce fioca, quella che le
ricordava Giuseppe piccolo, quello stesso Giuseppe che, come per miracolo,
fra poco sarebbe tornato, grande e sposato.
Cominciò ad agitarsi: fra poco
lui sarebbe arrivato, non voleva guardare l’orologio per timore che fosse
presto e avrebbe dovuto aspettare ancora. Si sedette davanti al braciere: -
Ma che javi sta ginisa, fa un ciauru strano…-. Rimestò il carbone col ferro
e alcune scintille si sparsero per la stanza.
- Mamma i giochi i focu -.
Ricordava le parole di Giuseppe quando da piccolo guardava il braciere
scintillare.
Cominciò a sentire sonno, ma
cercava di resistere…ogni tanto la testa le si appesantiva, e lei si
imponeva di reagire: - Mi gira la testa..sarà perché oggi non ho mangiato…-.
Capì che si stava assopendo.
Ora sentiva strani rumori,
come il battere ritmico di remi sugli scalmi, e poi uno sciabordio: - E’
impossibile - pensò - come posso sentire il rumore del mare da quassù…-.
Adesso il suono ovattato dei remi tirati in secco era chiarissimo.
Alzò lo sguardo: nel vano del
balcone, in controluce dalla luna, una sagoma: - Giuseppe… - cercò di
gridare , ma la voce non venne fuori.
- Giovanna, sono io, Gino…non
devi avere paura…Come sei bella con questo vestito…sei già pronta?…Vieni, ti
avevo promesso una gita in barca, e ora sono venuto a prenderti…su andiamo
-.
- Ma…e Giuseppe?…Giuseppe sta
arrivando... non lo aspettiamo? -.
- No, Giuseppe ormai è grande,
non ha più bisogno di noi, e poi ormai è sposato…vieni andiamo…-.
La signora Giovanna porse la
mano al marito, si sentiva leggera, e finalmente felice, felice come non
mai: - Hai ragione Gino, andiamo, ho atteso una vita questo giro in barca
con te…noi due soli…-. E marcò il “soli” sorridendo con un po’ di mistero
e…tanta dolcezza.
La barca si mosse leggera…
Nella valle di Mandanici,
qualcuno udì l’eco di uno strano battere di remi sugli scalmi: non avrebbe
mai potuto immaginare cosa stava succedendo…
La porta chiusa e l’anidride
carbonica avevano fatto il loro lavoro…in qualche modo erano riuscite a
rendere felice la signora Giovanna…
…La
macchina correva nella notte sull’autostrada: - Senti Giuseppe, non credi
che sarebbe meglio telefonare a tua madre e dirle che stasera non possiamo
arrivare? Siamo partiti così tardi da Roma…-.
- Non ti preoccupare cara, la
mamma è abituata ai miei ritardi e poi, a quest’ora, sarà già andata a
letto. Arriveremo domani…le faremo una sorpresa -.
…E così dicendo Giuseppe fermò
l’auto davanti ad un motel.
Giulio Romano |