Mandanici: 21
Novembre 1998
Come certamente è a tutti noto, il protestantesimo, sorto nel XVI secolo ad
opera di Martin Lutero, Giovanni Calvino, Enrico Zuinglio, Giovanni Valdès,
che visse a Napoli, dove ha ricoperto importanti cariche politiche, dal 1534
al 1541, anno della sua morte trovò terreno fertile nel nord Europa; mentre
nel sud, questa nuova dottrina non ebbe gran fortuna. I motivi della poca
diffusione in questi stati sono da ricercare nel fatto, che erano
amministrati da sovrani profondamente cattolici; che forte era l’influenza
del papato; e che, il discorso vale soprattutto per l’Italia, “le rimesse”
di denaro costituite da oboli e decime, rappresentavano motivo di benessere
e di accondiscendenza verso il potere. Monarchi e papi, affiancati dalle
rispettive burocrazie, avevano tutto l’interesse per avversare le nuove
idee, che rappresentavano una minaccia per il loro potere. In questo senso,
forte fu, com’è facile immaginare, il ruolo dei sovrani spagnoli. Il re
Ferdinando il Cattolico in particolare, chiese a papa Sisto IV
l’autorizzazione, ottenendola con la bolla del 1° novembre del 1478, di
istituire il tribunale del S. Officio, o della S. Inquisizione. Il primo
grande inquisitore, fu il frate domenicano Tommaso di Torquemada. A lui si
deve l’effettiva organizzazione del tribunale. Anche in Sicilia fu creata
una “dependance” del S. Officio. Il compito di guidare il tribunale
siciliano fu affidato all’inizio al frate domenicano Antonio La Pegna,
inviato nella nostra isola nel 1487, per sostenere la fede cattolica e
l’autorità del re di Spagna, attraverso i mezzi che gli derivavano dallo
stesso tribunale. L’inquisitore siciliano si mise subito al lavoro ed in
poco tempo allestì numerosi “autos de fè”. Ossia una sorta di confessione e
di abiura forzata della nuova religione. Dietro la creazione della filiale
siciliana del Tribunale dell’ Inquisizione, c’era probabilmente, la volontà
di reprimere tutti quegli atti di ribellione del clero esautorato con il
processo di latinizzazione dell’isola. Tale processo prevedeva, tra l’altro,
l’assegnazione dello stato giuridico di commenda a tutti i cenobi
autocefali, compresi, e soprattutto , quelli di rito greco, come ad es.
quello di Mandanici, dove la trasformazione avvenne sotto l’archimandritato
di Leonzio II, nel 1476, quando, con la scusa che era stato dissipatore dei
beni ecclesiastici, mani pulite diremmo oggi, il vicere Ximenes fece
abdicare l’abate fr. Eugenio basiliano, in favore di fr. Filaredo, abate di
Fiumedinisi. Con la trasformazione in commenda, i monaci sono stati privati
di moltissimi poteri. In primo luogo l’abbate non veniva eletto nell’interno
del monastero dagli stessi monaci, ma veniva nominato direttamente dal re,
che comunque doveva richiedere l’assenso al papa. Poi, l’abate, che iniziò a
non risiedere stabilmente a Mandanici, era stato privato del potere di
amministrare la giustizia, di nominare il capitano delle guardie, ecc.
Tale limitazione di poteri dovette
lasciare parecchi scontenti; i quali, probabilmente per ripicca, rivolsero
le loro attenzioni verso la “concorrenza protestante”. Un po’ come avvenne
durante il fascismo, quando i cattolici si raccolsero attorno alla sua
bandiera, ed i protestanti si unirono all’opposizione socialista. Questa
motivazione tuttavia sembrerebbe piuttosto riduttiva se si pensa che la
valenza culturale dei leaders del movimento mandanicese, ed in particolare
del maestro di grammatica Giovan Battista Impellizzeri, e del prete Domenico
Santoro, detto il domenichino, pose il piccolo paese di campagna in un
contesto socio-religioso più grande di quelle che potevano essere le sue
aspettative.
Il cripto-giudaismo mandanicese, forse
legato all’area dei valdesi di Calabria, assume carattere di notevole
rilievo, perché contiene “una renovatio religiosa” mai riscontrata in
precedenza. Essa, infatti, aiuta “a capire il carattere non aristocratico
del luteranesimo siciliano, e la scarsa incidenza in esso di elementi
esoterici e nicodemiti”. E’, probabilmente per questo motivo che Mandanici,
insieme a Palermo, Messina, e Ganci, è considerato uno dei centri più
importanti della Sicilia per il diffondersi delle idee luterane.
L’importanza dell’enclave protestante di Mandanici è data dalla fine cultura
dei suoi aderenti, che come abbiamo detto in precedenza furono capeggiati
dall’Impellizzeri e dal Santoro. A questo proposito giova ricordare come un
certo cav. Filippo Campolo, nobile messinese, fosse indiziato nel 1564 dal
Tribunale dell’Inquisizione, perché aveva ascoltato una predica del Santoro.
La testimonianza deriva dalla deposizione resa al Tribunale da un certo
Merlino Nasiti, condannato al carcere per avere ascoltato le prediche del
Santoro.
Le radici del luteranesimo mandanicese, è
probabile, che affondino nelle Calabrie, od anche in Campania. A Napoli uno
dei due eresiarchi, se non tutt’e due, hanno potuto conoscere il Valdès, che
come abbiamo visto all’inizio visse in questa città per parecchi anni. Il
nucleo luterano mandanicese fu importante anche per il numero degli adepti.
A metà cinquecento infatti una trentina di persone, tutte di Mandanici,
hanno abbracciato la nuova fede cristiana. Se si pensa che il paese contava
270 case sotto il regno di Carlo V ,e che la popolazione residente nel 1570
era di 1423 abitanti, come riferisce un censimento ordinato dal re FILIPPO
II, si capisce che il numero dei neofiti era tutt’altro che trascurabile. La
sua importanza si desume pure dal fatto che la S. Inquisizione vi stabilì “
una caserma dei carabinieri”, diremmo oggi. Nel 1575, infatti, è annotata la
presenza di sei tutori dell’ ordine, detti “familiari”, che risiedevano
stabilmente nel paese. Due anni dopo i soldati spagnoli che dovevano
accudire all’ordine pubblico sono scesi a tre. Ma come si noterà in seguito,
siamo già in un’epoca in cui la maggior parte, se non tutti gli aderenti al
movimento riformista sarebbero in età avanzata se fossero sopravvissuti al
processo di epurazione. D'altronde non è escluso che agli inizi del secolo
l’insediamento militare potesse essere più consistente. Pure in politica il
luteranesimo mandanicese di metà cinquecento ebbe rilievo. Si noti infatti
come tra gli adepti ci siano stati amministratori come Luciano Mamune,
definito “ regidor de una aldea” (reggitore di un borgo), e Joan Matheo de
Micheli, definito come “regidor de Mandanichi”. Entrambi sono stati
riconciliati alla Madre Chiesa nel corso dell’atto di fede celebrato a
Palermo il 13 aprile 1563. Il 3 marzo del 1568 abiurò invece una tale
Marquesa Santoro. Tuttavia l’aspetto politico più importante, visto come
conseguenza dell’atteggiamento spagnolo di soffocamento del tessuto
popolare, ma colto mandanicese, si fece sentire probabilmente circa un
secolo dopo, quando fu consistente l'adesione della piccola comunità dei
peloritani alla rivolta del 1674 di Messina contro la Spagna..
In questa occasione, ma sarebbe motivo di
un discorso più lungo ed approfondito, alcuni cittadini mandanicesi,
capitanati da don Giacomo Avarna, diedero il loro contributo, anche di
sangue. Probabilmente il ricordo dei martirii subiti dagli abitanti di
Mandanici nel XVI secolo, era ancora tanto vivo, nonostante fosse trascorso
circa un secolo dai fatti che stiamo analizzando, che il paese non perse
l’occasione, successivamente fallita per il ritiro del re di Francia dal
conflitto, di tentare, contribuendo per la sua parte, di cambiare l’assetto
politico dell’isola.
Il cripto giudaismo ha influenzato pure la
toponomastica locale, modificando almeno in un caso, il toponimo di una
località di campagna. Un protestante di nome Girolamo Calabrò o Calabro,
soprannominato “cipolla” doveva essere arrestato. Per difendersi si diede
alla macchia in aperta campagna; inseguito dai soldati spagnoli, ingaggiò
con loro un conflitto a fuoco, a seguito del quale rimase ucciso. Quale
fosse il luogo dove cipolla cadde colpito dai soldati spagnoli, non è dato
sapere. Quello che invece è noto, è che una località di campagna viene a
tutt’oggi denominata cipolla; anzi pizzo cipolla. Questo toponimo può essere
stato assegnato dai naturali di Mandanici per ricordare l’episodio in cui fu
coinvolto Calabrò, o probabilmente per identificare il luogo dove avvenne la
sua morte. Un elemento che c’induce a ritenere che il toponimo cipolla possa
essere stato mutuato dall’episodio che riguardò Calabrò, ci viene suggerito
dall’abate Rocco Pirri, il quale nel riportare i confini dell’abbazia di S.
Maria Annunziata di Mandanici, non lo cita; eppure avrebbe dovuto riportarlo
perché è posizionato in un punto cardine dei confini della stessa abbazia.
Oggi rappresenta il luogo d’incontro dei confini di Mandanici, S. Lucia del
Mela e Fiumedinisi. A questo punto chiediamo scusa, ma ci pigliamo la
libertà di fare alcune digressioni, senza tuttavia perdere di vista il tema
dell’Inquisizione. La prima digressione consiste nel considerare il periodo
più feroce del Tribunale del S. Officio, che unanimemente è riconosciuto
negli anni che vanno dal 1546 al 1556. In questo decennio , inquisitore
generale di Sicilia era il vescovo di Patti, don Sebastian Bartolomeo,che
appunto come vescovo di Patti, aveva giurisdizione sulla chiesa di S. Maria
del Tindaro, devastata nel 1544 dalle scorrerie piratesche del turco Kair
ad-din, detto Ariadeno, generale di Solimano il Grande. Il Sebastian, una
volta assunta la carica vescovile, dispose la ricostruzione della chiesa. E’
difficile dire dove pigliasse i soldi e la mano d’opera per realizzare il
suo disegno. Si può tuttavia ipotizzare che egli si sia servito del suo
enorme potere d’inquisitore. Noi azzardiamo, e qua sta la digressione che
egli abbia potuto fare venire a Tindari manovalanza e capitali provenienti
dagli atti di fede. Nel nostro caso egli avrebbe “potuto costringere tutto
un paese” a recarsi in pellegrinaggio a rendere omaggio alla Madonna di
Tindari, magari con la promessa di qualche indulgenza. Il pellegrinaggio,
l’eventuale prestazione gratuita di mano d’opera e l’eventuale regalia di
denaro, sarebbe potuta servire per alleviare le sofferenze della popolazione
soggetta alle accuse di professare la fede riformista. Un’altra digressione
consiste nella considerazione che le regie visite che si sono susseguite al
cenobio basiliano di badia dopo del XVI secolo, hanno riscontrato la
mancanza degli originali dei privilegi concessigli, a partire dal privilegio
di fondazione. La domanda che ci poniamo è la seguente: è possibile che il
monastero possa essere stato spogliato di tutti i documenti per infliggergli
una punizione, consistente nel non avere la possibilità di provare la
proprietà ed i poteri in possesso?
Si noti come nel medio evo fatti di questo
genere accadevano sovente. E’ possibile che essi siano stati portati a
Patti, sede dell’arcivescovo inquisitore?
Le domande meriterebbero un
approfondimento. Noi nel passato abbiamo tentato senza successo, nonostante
avessimo un buon accreditamento presso l’arcivescovado di quella città.
Infine, per chiudere il nostro ragionamento ci sia consentito di ritornare
al generale, e con la politica. I luterani perseguitati dalla Spagna, sono
stati, com’è facile intuire, filo- francesi. E l’Inquisizione spesso usava
il suo potere per risolvere problemi politici di questo genere, accusando di
eresie luterane i soggetti avversari e filo francesi. Il popolo per opporsi
alla Spagna cantò una canzone sediziosa di cui riportiamo solo una
quartina..
Stu monarca rapaci, chi cu’ngannu
Nni scorcia e scarna ogni hura e sindi
ridi,
Cui ni dubbitirà chi sia tirannu?
E s’è Tirannu , pirchì non si aucidi?
A questo punto dell’analisi, ci piace
riportare l’elenco delle persone coinvolte in processi istruiti dalla S.
Inquisizione. Si noti come tutti i processi venivano celebrati a Palermo.
Dunque era in questa città che gl’inquisiti venivano portati una volta
catturati.. Esso vede per primo Girolamo di Savoca, di professione coffaro,
accusato di essere giudaizzante, essendo fuggito fu condannato in contumacia
nel 1538. Il dodici marzo del 1540 furono condannati, anche loro in
contumacia perché latitanti, Stefano di Savoca, Graczula Maczula e Minyca
Pillitteri, giudicati per osservanza di cerimonie giudaiche. Il 19 maggio
del 1549, ha abiurato dopo essere stato arrestato Giovanni Pietro Spataro.
Ha scontato due anni di galera. Il 5 luglio del 1551 si è riconciliato al
grembo della Madre Chiesa il luterano Giacomo Pellizzeri. Domenica 18 giugno
1553, fu bruciato dopo essere stato impiccato, Giovan Battista Impellizzeri
( o Pellizzeri, o Pellicer), maestro di scuola, eresiarca luterano. Costui
era stato relassato in statua, perché era fuggito aiutato dai suoi
fratelli,il 28 nivembre del 1547. La sentenza gli è stata letta nella chiesa
cattedrale di Palermo il 22 dicembre del 1547.
Nell’atto di fede del 13 aprile 1563 fu
relassato il prete Minico Santoro. La sentenza gli fu letta nella piazza
della bocceria vecchia,fu degradato in forma iuris, strozzato e poi
bruciato. Aveva abiurato in piazza della loggia il 13 febbraio del 1547.
Nello stesso atto di fede del 1563 sono stati riconciliati alla Madre Chiesa
per opinioni luterane: mastro Andrea Bruno e suo fratello mastro Coletta
Bruno,(essi furono condannati a dieci anni di carcere) Luciano Mamune,
Battista Pellizzeri, accusato di bigamia; Giovan Matteo de Micheli, Matteo
Chato, Pietro de Xito, Matteo Santoro, Matteo Thama, ed il “sacerdote de
missa” Stefano Pellizzeri.
Nell’atto di fede celebrato nel “piano
delli bologni il 15 agosto del 1563, fu relassato in contumacia Girolamo
Calabrò o Calabro,detto cipolla. Egli era morto a Mandanici in un conflitto
a fuoco con i soldati spagnoli che volevano arrestarlo. Evidentemente
trasportare il suo cadavere a Palermo era cosa alquanto complicata. Il
dodici novembre del 1564 fu bruciato nel piano della marina un tale
Richiardo, detto fruxa. Nella stessa data è stato impiccato e poi bruciato
Giacomo Pellizzeri. Egli era stato ammesso a riconciliazione in piazza della
loggia il 27 giugno del 1551. Fra gli arrestati del 30 marzo 1568 c’è una
“Marquesa Santoro, la quale abiurò “de levi”. In questa occasione, si
riconciliarono alla Madre Chiesa:Stefano Romeo , Matteo Richiardo, Petruccio
Santoro, Geronimo Mamuni, che scontò quattro anni di galera, e Francisco de
Micheli. Con l’atto di fede del 26 giugno 1569 fu impiccato e bruciato
Francisco de Micheli.
Nell’atto di fede precedente un Francisco
de Micheli era stato condannato a dieci anni di carcere perché pertinace
nell’accettazione del luteranesimo. La cronaca non precisa se i due de
Micheli siano o no la stessa persona
Francesco Misiti