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19 Maggio 2013

Tindari il dibattito continua

Ingrandimento immagineDopo appena una settimana di “letargo” Ciccio Misiti rispolvera la grinta che gli è congeniale e le sue vecchie carte di archeologia culturale depositate nei cassetti e, prima ancora che Linuccio Bonvegna abbia potuto ridire la sua sulla possibile datazione del primo Pellegrinaggio Mandanicioto a Tindari, ci ha inviato il suo dotto intervento fatto nel lontano 1998 davanti ad una assemblea attenta e plaudente.

Nell'intervento che ci ha inviato c'erano già i primi riferimenti alla santa inquisizione legata al Pellegrinaggio.

Come passa il tempo, il 1998 appartiene già al passato, figuriamoci come sarà difficile datare il primo Pellegrinaggio. Comunque e giusto provarci.

Non sarebbe male se anche i pellegrini di altri paesi circostanti diranno la loro, in particolare quelli di Misserio a noi molto più vicini.

MANDANICI: CAPOSALDO DEL LUTERANESIMO SICILIANO NEL XVI SECOLO

Mandanici: 21 Novembre 1998
Come certamente è a tutti noto, il protestantesimo, sorto nel XVI secolo ad opera di Martin Lutero, Giovanni Calvino, Enrico Zuinglio, Giovanni Valdès, che visse a Napoli, dove ha ricoperto importanti cariche politiche, dal 1534 al 1541, anno della sua morte trovò terreno fertile nel nord Europa; mentre nel sud, questa nuova dottrina non ebbe gran fortuna. I motivi della poca diffusione in questi stati sono da ricercare nel fatto, che erano amministrati da sovrani profondamente cattolici; che forte era l’influenza del papato; e che, il discorso vale soprattutto per l’Italia, “le rimesse” di denaro costituite da oboli e decime, rappresentavano motivo di benessere e di accondiscendenza verso il potere. Monarchi e papi, affiancati dalle rispettive burocrazie, avevano tutto l’interesse per avversare le nuove idee, che rappresentavano una minaccia per il loro potere. In questo senso, forte fu, com’è facile immaginare, il ruolo dei sovrani spagnoli. Il re Ferdinando il Cattolico in particolare, chiese a papa Sisto IV l’autorizzazione, ottenendola con la bolla del 1° novembre del 1478, di istituire il tribunale del S. Officio, o della S. Inquisizione. Il primo grande inquisitore, fu il frate domenicano Tommaso di Torquemada. A lui si deve l’effettiva organizzazione del tribunale. Anche in Sicilia fu creata una “dependance” del S. Officio. Il compito di guidare il tribunale siciliano fu affidato all’inizio al frate domenicano Antonio La Pegna, inviato nella nostra isola nel 1487, per sostenere la fede cattolica e l’autorità del re di Spagna, attraverso i mezzi che gli derivavano dallo stesso tribunale. L’inquisitore siciliano si mise subito al lavoro ed in poco tempo allestì numerosi “autos de fè”. Ossia una sorta di confessione e di abiura forzata della nuova religione. Dietro la creazione della filiale siciliana del Tribunale dell’ Inquisizione, c’era probabilmente, la volontà di reprimere tutti quegli atti di ribellione del clero esautorato con il processo di latinizzazione dell’isola. Tale processo prevedeva, tra l’altro, l’assegnazione dello stato giuridico di commenda a tutti i cenobi autocefali, compresi, e soprattutto , quelli di rito greco, come ad es. quello di Mandanici, dove la trasformazione avvenne sotto l’archimandritato di Leonzio II, nel 1476, quando, con la scusa che era stato dissipatore dei beni ecclesiastici, mani pulite diremmo oggi, il vicere Ximenes fece abdicare l’abate fr. Eugenio basiliano, in favore di fr. Filaredo, abate di Fiumedinisi. Con la trasformazione in commenda, i monaci sono stati privati di moltissimi poteri. In primo luogo l’abbate non veniva eletto nell’interno del monastero dagli stessi monaci, ma veniva nominato direttamente dal re, che comunque doveva richiedere l’assenso al papa. Poi, l’abate, che iniziò a non risiedere stabilmente a Mandanici, era stato privato del potere di amministrare la giustizia, di nominare il capitano delle guardie, ecc.

Tale limitazione di poteri dovette lasciare parecchi scontenti; i quali, probabilmente per ripicca, rivolsero le loro attenzioni verso la “concorrenza protestante”. Un po’ come avvenne durante il fascismo, quando i cattolici si raccolsero attorno alla sua bandiera, ed i protestanti si unirono all’opposizione socialista. Questa motivazione tuttavia sembrerebbe piuttosto riduttiva se si pensa che la valenza culturale dei leaders del movimento mandanicese, ed in particolare del maestro di grammatica Giovan Battista Impellizzeri, e del prete Domenico Santoro, detto il domenichino, pose il piccolo paese di campagna in un contesto socio-religioso più grande di quelle che potevano essere le sue aspettative.

Il cripto-giudaismo mandanicese, forse legato all’area dei valdesi di Calabria, assume carattere di notevole rilievo, perché contiene “una renovatio religiosa” mai riscontrata in precedenza. Essa, infatti, aiuta “a capire il carattere non aristocratico del luteranesimo siciliano, e la scarsa incidenza in esso di elementi esoterici e nicodemiti”. E’, probabilmente per questo motivo che Mandanici, insieme a Palermo, Messina, e Ganci, è considerato uno dei centri più importanti della Sicilia per il diffondersi delle idee luterane. L’importanza dell’enclave protestante di Mandanici è data dalla fine cultura dei suoi aderenti, che come abbiamo detto in precedenza furono capeggiati dall’Impellizzeri e dal Santoro. A questo proposito giova ricordare come un certo cav. Filippo Campolo, nobile messinese, fosse indiziato nel 1564 dal Tribunale dell’Inquisizione, perché aveva ascoltato una predica del Santoro. La testimonianza deriva dalla deposizione resa al Tribunale da un certo Merlino Nasiti, condannato al carcere per avere ascoltato le prediche del Santoro.

Le radici del luteranesimo mandanicese, è probabile, che affondino nelle Calabrie, od anche in Campania. A Napoli uno dei due eresiarchi, se non tutt’e due, hanno potuto conoscere il Valdès, che come abbiamo visto all’inizio visse in questa città per parecchi anni. Il nucleo luterano mandanicese fu importante anche per il numero degli adepti. A metà cinquecento infatti una trentina di persone, tutte di Mandanici, hanno abbracciato la nuova fede cristiana. Se si pensa che il paese contava 270 case sotto il regno di Carlo V ,e che la popolazione residente nel 1570 era di 1423 abitanti, come riferisce un censimento ordinato dal re FILIPPO II, si capisce che il numero dei neofiti era tutt’altro che trascurabile. La sua importanza si desume pure dal fatto che la S. Inquisizione vi stabilì “ una caserma dei carabinieri”, diremmo oggi. Nel 1575, infatti, è annotata la presenza di sei tutori dell’ ordine, detti “familiari”, che risiedevano stabilmente nel paese. Due anni dopo i soldati spagnoli che dovevano accudire all’ordine pubblico sono scesi a tre. Ma come si noterà in seguito, siamo già in un’epoca in cui la maggior parte, se non tutti gli aderenti al movimento riformista sarebbero in età avanzata se fossero sopravvissuti al processo di epurazione. D'altronde non è escluso che agli inizi del secolo l’insediamento militare potesse essere più consistente. Pure in politica il luteranesimo mandanicese di metà cinquecento ebbe rilievo. Si noti infatti come tra gli adepti ci siano stati amministratori come Luciano Mamune, definito “ regidor de una aldea” (reggitore di un borgo), e Joan Matheo de Micheli, definito come “regidor de Mandanichi”. Entrambi sono stati riconciliati alla Madre Chiesa nel corso dell’atto di fede celebrato a Palermo il 13 aprile 1563. Il 3 marzo del 1568 abiurò invece una tale Marquesa Santoro. Tuttavia l’aspetto politico più importante, visto come conseguenza dell’atteggiamento spagnolo di soffocamento del tessuto popolare, ma colto mandanicese, si fece sentire probabilmente circa un secolo dopo, quando fu consistente l'adesione della piccola comunità dei peloritani alla rivolta del 1674 di Messina contro la Spagna..

In questa occasione, ma sarebbe motivo di un discorso più lungo ed approfondito, alcuni cittadini mandanicesi, capitanati da don Giacomo Avarna, diedero il loro contributo, anche di sangue. Probabilmente il ricordo dei martirii subiti dagli abitanti di Mandanici nel XVI secolo, era ancora tanto vivo, nonostante fosse trascorso circa un secolo dai fatti che stiamo analizzando, che il paese non perse l’occasione, successivamente fallita per il ritiro del re di Francia dal conflitto, di tentare, contribuendo per la sua parte, di cambiare l’assetto politico dell’isola.

Il cripto giudaismo ha influenzato pure la toponomastica locale, modificando almeno in un caso, il toponimo di una località di campagna. Un protestante di nome Girolamo Calabrò o Calabro, soprannominato “cipolla” doveva essere arrestato. Per difendersi si diede alla macchia in aperta campagna; inseguito dai soldati spagnoli, ingaggiò con loro un conflitto a fuoco, a seguito del quale rimase ucciso. Quale fosse il luogo dove cipolla cadde colpito dai soldati spagnoli, non è dato sapere. Quello che invece è noto, è che una località di campagna viene a tutt’oggi denominata cipolla; anzi pizzo cipolla. Questo toponimo può essere stato assegnato dai naturali di Mandanici per ricordare l’episodio in cui fu coinvolto Calabrò, o probabilmente per identificare il luogo dove avvenne la sua morte. Un elemento che c’induce a ritenere che il toponimo cipolla possa essere stato mutuato dall’episodio che riguardò Calabrò, ci viene suggerito dall’abate Rocco Pirri, il quale nel riportare i confini dell’abbazia di S. Maria Annunziata di Mandanici, non lo cita; eppure avrebbe dovuto riportarlo perché è posizionato in un punto cardine dei confini della stessa abbazia. Oggi rappresenta il luogo d’incontro dei confini di Mandanici, S. Lucia del Mela e Fiumedinisi. A questo punto chiediamo scusa, ma ci pigliamo la libertà di fare alcune digressioni, senza tuttavia perdere di vista il tema dell’Inquisizione. La prima digressione consiste nel considerare il periodo più feroce del Tribunale del S. Officio, che unanimemente è riconosciuto negli anni che vanno dal 1546 al 1556. In questo decennio , inquisitore generale di Sicilia era il vescovo di Patti, don Sebastian Bartolomeo,che appunto come vescovo di Patti, aveva giurisdizione sulla chiesa di S. Maria del Tindaro, devastata nel 1544 dalle scorrerie piratesche del turco Kair ad-din, detto Ariadeno, generale di Solimano il Grande. Il Sebastian, una volta assunta la carica vescovile, dispose la ricostruzione della chiesa. E’ difficile dire dove pigliasse i soldi e la mano d’opera per realizzare il suo disegno. Si può tuttavia ipotizzare che egli si sia servito del suo enorme potere d’inquisitore. Noi azzardiamo, e qua sta la digressione che egli abbia potuto fare venire a Tindari manovalanza e capitali provenienti dagli atti di fede. Nel nostro caso egli avrebbe “potuto costringere tutto un paese” a recarsi in pellegrinaggio a rendere omaggio alla Madonna di Tindari, magari con la promessa di qualche indulgenza. Il pellegrinaggio, l’eventuale prestazione gratuita di mano d’opera e l’eventuale regalia di denaro, sarebbe potuta servire per alleviare le sofferenze della popolazione soggetta alle accuse di professare la fede riformista. Un’altra digressione consiste nella considerazione che le regie visite che si sono susseguite al cenobio basiliano di badia dopo del XVI secolo, hanno riscontrato la mancanza degli originali dei privilegi concessigli, a partire dal privilegio di fondazione. La domanda che ci poniamo è la seguente: è possibile che il monastero possa essere stato spogliato di tutti i documenti per infliggergli una punizione, consistente nel non avere la possibilità di provare la proprietà ed i poteri in possesso?

Si noti come nel medio evo fatti di questo genere accadevano sovente. E’ possibile che essi siano stati portati a Patti, sede dell’arcivescovo inquisitore?

Le domande meriterebbero un approfondimento. Noi nel passato abbiamo tentato senza successo, nonostante avessimo un buon accreditamento presso l’arcivescovado di quella città. Infine, per chiudere il nostro ragionamento ci sia consentito di ritornare al generale, e con la politica. I luterani perseguitati dalla Spagna, sono stati, com’è facile intuire, filo- francesi. E l’Inquisizione spesso usava il suo potere per risolvere problemi politici di questo genere, accusando di eresie luterane i soggetti avversari e filo francesi. Il popolo per opporsi alla Spagna cantò una canzone sediziosa di cui riportiamo solo una quartina..

Stu monarca rapaci, chi cu’ngannu

Nni scorcia e scarna ogni hura e sindi ridi,

Cui ni dubbitirà chi sia tirannu?

E s’è Tirannu , pirchì non si aucidi?

A questo punto dell’analisi, ci piace riportare l’elenco delle persone coinvolte in processi istruiti dalla S. Inquisizione. Si noti come tutti i processi venivano celebrati a Palermo. Dunque era in questa città che gl’inquisiti venivano portati una volta catturati.. Esso vede per primo Girolamo di Savoca, di professione coffaro, accusato di essere giudaizzante, essendo fuggito fu condannato in contumacia nel 1538. Il dodici marzo del 1540 furono condannati, anche loro in contumacia perché latitanti, Stefano di Savoca, Graczula Maczula e Minyca Pillitteri, giudicati per osservanza di cerimonie giudaiche. Il 19 maggio del 1549, ha abiurato dopo essere stato arrestato Giovanni Pietro Spataro. Ha scontato due anni di galera. Il 5 luglio del 1551 si è riconciliato al grembo della Madre Chiesa il luterano Giacomo Pellizzeri. Domenica 18 giugno 1553, fu bruciato dopo essere stato impiccato, Giovan Battista Impellizzeri ( o Pellizzeri, o Pellicer), maestro di scuola, eresiarca luterano. Costui era stato relassato in statua, perché era fuggito aiutato dai suoi fratelli,il 28 nivembre del 1547. La sentenza gli è stata letta nella chiesa cattedrale di Palermo il 22 dicembre del 1547.

Nell’atto di fede del 13 aprile 1563 fu relassato il prete Minico Santoro. La sentenza gli fu letta nella piazza della bocceria vecchia,fu degradato in forma iuris, strozzato e poi bruciato. Aveva abiurato in piazza della loggia il 13 febbraio del 1547. Nello stesso atto di fede del 1563 sono stati riconciliati alla Madre Chiesa per opinioni luterane: mastro Andrea Bruno e suo fratello mastro Coletta Bruno,(essi furono condannati a dieci anni di carcere) Luciano Mamune, Battista Pellizzeri, accusato di bigamia; Giovan Matteo de Micheli, Matteo Chato, Pietro de Xito, Matteo Santoro, Matteo Thama, ed il “sacerdote de missa” Stefano Pellizzeri.

Nell’atto di fede celebrato nel “piano delli bologni il 15 agosto del 1563, fu relassato in contumacia Girolamo Calabrò o Calabro,detto cipolla. Egli era morto a Mandanici in un conflitto a fuoco con i soldati spagnoli che volevano arrestarlo. Evidentemente trasportare il suo cadavere a Palermo era cosa alquanto complicata. Il dodici novembre del 1564 fu bruciato nel piano della marina un tale Richiardo, detto fruxa. Nella stessa data è stato impiccato e poi bruciato Giacomo Pellizzeri. Egli era stato ammesso a riconciliazione in piazza della loggia il 27 giugno del 1551. Fra gli arrestati del 30 marzo 1568 c’è una “Marquesa Santoro, la quale abiurò “de levi”. In questa occasione, si riconciliarono alla Madre Chiesa:Stefano Romeo , Matteo Richiardo, Petruccio Santoro, Geronimo Mamuni, che scontò quattro anni di galera, e Francisco de Micheli. Con l’atto di fede del 26 giugno 1569 fu impiccato e bruciato Francisco de Micheli.

Nell’atto di fede precedente un Francisco de Micheli era stato condannato a dieci anni di carcere perché pertinace nell’accettazione del luteranesimo. La cronaca non precisa se i due de Micheli siano o no la stessa persona

Francesco Misiti