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14 Maggio 2013

Il Pellegrinaggio visto da Ciccio Misiti

Ciccio Misiti, corrispondente da Mandanici della Gazzetta del Sud, ha scritto un pezzo per la testata messinese sull'ultimo Pellegrinaggio.

Come si vede ancora insiste sulla datazione del primo pellegrinaggio agli eventi collegati con la Santa inquisizione ed in netta contrapposizione con quanto ci dice l'altro mostro sacro Mandanicioto studioso della nostra storia locale Carmelo Bonvegna “In merito a quanto qualcuno (Ciccio Misiti ndr) ipotizza intorno alle origini del Pellegrinaggio che i Mannaniciòti, da sempre, compiono â Matr’û Tunnàru, avere avuto origine da una punizione inflitta dalla Inquisizione a Mandanici, covo di eretici, mi sento di opporre:

1) se fosse stato un castigo (deportazione – addirittura! – di abitanti di Mandanici al Tindari e lavoro coatto per la ricostruzione del Santuario, distrutto dal pirata mussulmano Dragut nel 1544) imposto dall’Inquisitore di Patti ai nostri Avi a causa di qualche loro eresia durante la cosiddetta Contro Riforma, di “castigo” e di tristezza sarebbe dovuta rimanere, ancora oggi, invariabile nei secoli, l’atmosfera del Pellegrinaggio; i tunnarìsi, invece, partono e ritornano tra sventolio di fazzoletti e grida e invocazioni e canti di gioia (Ch’è bbedda la rrosa quann’idda spampàna” […] “Lu pòpulu fa la festa fistìnu cci sarà”) che io mi sono sforzato di descrivere come ho potuto nel mio “Usi e costumi”; pur conservando, il Pellegrinaggio, forme penitenziali comuni a tante altre processioni che in tutta la Cristianità ancora oggi si svolgono: i ped’i fora, capelli sciolti le donne, percorso rigorosamente in silenzio, il camminare sui ginocchi nel sacro recinto del Santuario, etc.; cose che non intaccano quella atmosfera di gioia di cui si diceva.


2) l’ipotesi del castigo, osta, poi, col fatto che, fino a qualche decennio addietro, il Pellegrinaggio, distribuito nei quattro venerdì di maggio, partiva anche da Misserio, Pagliara, Locadi, Santa Teresa e – in antico – anche da Savoca, come dimostra l’usanza a Rodì (ma anche a Milici, a Bafia e Castroreale) di chiamare tutta questa gente che attraversava la valle del Patrì, col nome generico e collettivo di “Saucòti”. Domanda: a) risultano episodi di inquisizione su quelle comunità? b) l’Inquisizione aveva imposto lo stesso castigo a tutta la zona di Savoca?
 

Conclusione:
bene facciamo a studiare con entusiasmo la storia della nostra piccola-grande e indimenticabile Patria, liberi di immaginarne, magari, fatti ed eventi; meglio ancora, però, sarebbe per tutti che questi venissero supportati da prove sicure.
Carmelo (Linuccio) Bonvegna”

e adesso leggiamo quanto ci dice Ciccio Misiti nell'attesa che dagli archivi segreti vaticani o da qualche altra fonte attendibile esca fuori la verità, quella vera.

L’annuale pellegrinaggio dei mandanicesi alla Madonna del Tindari quest’anno ha visto la partecipazione di moltissimi fedeli. In più, nel rispetto della tradizione, sono state introdotte alcune “novità”. Intanto il parroco, don Domenico Manuli, ha fatto in modo che le sue parrocchie di Mandanici e Rocchenere partecipassero insieme al pellegrinaggio; che lo stendardo lungo il percorso fosse dispiegato e che i pellegrini vi camminassero dietro, esattamente come avveniva nel passato. Non già come nell’ultimo ventennio, quando i pellegrini adottavano un passo differente, con la conseguenza che il viaggio avveniva un po’ alla rinfusa. Don Manuli è stato coadiuvato da un cast di organizzatori collaudati e pronti ad affrontare qualsiasi problema. Il rullare del tamburo ha aperto la strada. All’arrivo, i pellegrini sono stati salutati dal rettore del Santuario don Pippo Gaglio (insediato ufficialmente domenica scorsa), che per l’occasione era accompagnato dal precedente rettore, don Antonino Gregorio, e dalle campane suonate a distesa. Ben cinquanta fedeli hanno raggiunto il santuario camminando a piedi, lungo un percorso di settanta chilometri durato diciotto ore. L’unico riposo sono state due brevi soste. Nel suo intervento di saluto don Gregorio (nel suo ultimo giorno da rettore del santuario), ha ricordato i suoi diciotto anni passati ad accogliere i pellegrini mandanicesi che venivano in visita alla Madonna “nera” di Tindari. Al pellegrinaggio hanno partecipato persone di tutte le età (neonati ed ottantenni). Non si conosce l’epoca di origine del pellegrinaggio, ma stando al sito ufficiale del santuario, potrebbe avere “ben quattro secoli” di vita, ed essere ricondotto all’epoca in cui l’arcivescovo di Patti, mons. Bartolomeo Sebastiani (1552), grande inquisitore di Sicilia, attese alla ricostruzione della chiesa, semidistrutta nel 1544 dal corsaro algerino Dragut detto Ariadeno Barbarossa, ed ultimata nel 1598, come si legge sulla chiave del portale d’ingresso. Sul pellegrinaggio c’è da dire che era appannaggio delle classi popolari. I più abbienti infatti di solito non vi partecipavano. I pellegrini erano preceduti lungo il percorso dal suono del tamburo. Quello in uso a tutt’oggi è di foggia napoleonica. Si può ritenere quindi che il suo uso derivasse almeno dalle milizie francesi dei primi dell’ottocento. Il tamburo aveva la funzione di annunciare il passaggio dei pellegrini e di tenere a distanza eventuali malintenzionati. Serviva pure per suonare la raccolta dopo una breve pausa di riposo. Per dissuadere eventuali malintenzionati, era usanza anche che i pellegrini viaggiassero armati, stante che le strade isolane erano infestate da razziatori di ogni tipo, per depredare quanti vi transitavano. (prima che fosse proibito l’uso delle armi si sparavano cartucce caricate a salve).

Francesco Misiti