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11 gennaio 2010

il solipsismo dei piu’

di Martino Di Simo (2010)

Ingrandimento immagineL’ingratitudine e la mancanza di riconoscenza, credo siano insite nella persona umana. Potrebbero essere rimaste nel patrimonio genetico della maggioranza degli italiani. L’origine di questi mali proviene dalle innumerevoli dominazioni di popoli esteri o di principati potenti italiani che essi hanno subito. Nella necessità di salvare la pelle o proteggere i piccoli beni, corporali o spirituali, siamo diventati degli abili saltimbanchi pronti a salire sul primo carro dei vincitori che passa davanti. Siamo pronti a dimenticare chi ci ha aiutato nel momento del bisogno, le alleanze non sono più valide, gli amici si trasformano in acerrimi nemici. La storia, anche quella più recente, è piena di episodi, i voltagabbana sono all’ordine del giorno, pronti a cambiare bandiera o vessillo: “Va dove ti porta il vincitore” è il motto di queste persone e non “non va dove ti porta il cuore” come sarebbe più giusto.

Il 14 ottobre del 2009, giunsi nella mia natia Lucca e appresi, da un piccolo trafiletto su un giornale locale, della scomparsa di Mirio Mei. Speravo, nei giorni seguenti si fosse dato più spazio alla notizia essendo stato egli un grande sportivo della vita cittadina lucchese. Speranza vana e attesi inutilmente che altri lo facessero. Ho avuto la fortuna di conoscerlo personalmente, era la bontà in persona e mai si è rifiutato di dare il suo contributo personale e finanziario per lo sport. Subito dopo la seconda guerra, con in atto la ricostruzione dell’Italia, i F.lli Mei, hanno dato ai lucchesi la possibilità di viaggiare, prima con la vendita di biciclette, poi come concessionari di moto e motocicli, di auto italiane ed estere e di varie marche di gomme. Sono stati presenti per la rinascita della Lucchese e dell’automobilismo locale, hanno portato sia la palestra di pugilato sia gli incontri di questo sport a livelli nazionali. In sostanza, erano un punto di riferimento per ogni manifestazione sportiva nella Lucchesia. Purtroppo nella vita di un’azienda, come in quella delle persone, ci sono dei momenti non felici, dei tracolli. E da un’esistenza circondata da tante persone che si professavano amiche (?) dal momento in auge, a scendere dal carro, nel momento del bisogno, il passo è stato breve. Hanno trovato immediatamente il carro del vincitore. Per il bene ricevuto hanno la memoria corta, e le persone si sono dimenticate in fretta, non hanno nemmeno sprecato un po’ di inchiostro, per scrivere quelle poche righe al fine di ricordare ciò che egli ha fatto per lo sport.

Inoltre, si sono dimenticate le gesta di un altro lucchese, grande amico di Mirio, Luciano Carassiti. Anche lui grande appassionato di sport, rispondevano sempre: “pronto” ad ogni chiamata per le varie manifestazioni sportive. Erano dei veri sportivi lucchesi e come altri sono andati a finire nei cassetti polverosi dei ricordi. E in me c’è tanta tristezza quando scorrono la mia mente i ricordi di quegli anni vissuti nello sport e per lo sport.

Federico Zantonelli, pilota dell’automobilismo lucchese degli anni del dopoguerra, appassionato di regolarità, quella disciplina che coniuga abilità, tempismo e freddezza. Cose di altri tempi…. anche lui salito per breve tempo alla ribalta di una Manifestazione ed ora relegato quasi nel dimenticatoio. Eppure anche lui aveva contribuito a portare a certi livelli il nome dell’A.C. Lucca, assieme ai vari Cecchini, Astore, Lunatici, Larini, Andreini, e tanti altri, tutti nomi che sono rimasti nella memoria dei più anziani. Nomi osannati a quei giorni e ora dimenticati dai più.

Tutti personaggi di una semplicità estrema, schivi da ogni forma di pubblicità personale, lontano dai canoni dei giorni nostri, loro si, avevano il diritto di essere ricordati, invece non si è alzato un dito per menzionarli. Nella nostra epoca, dove il credo prevalente è l’apparire e non l’essere, basta il nulla per riempire pagine intere di pochezze o nefandezze. Forse questa è una legge di mercato, è da stabilire però se è la volontà delle persone o il lavaggio del loro cervello disposto ad assorbire tutto quello che gli viene propinato.

Ed ecco che si ritorna al discorso iniziale, il non avere la gestione del proprio cervello, si seguono le idee di altri, come fanno le pecore in un gregge, portando il cervello e le idee all’ammasso, al pastore, al salire sul carro del vincitore.

Tutto questo fa parte dell’effimero mondo dei vivi, e molti episodi ci insegnano che a seconda della visione ottica anche la storia, dalla più antica a quella moderna, può essere vista in modo diverso. Per alcuni un personaggio è un eroe, per altri è un comune delinquente, per certuni può essere un grande statista, per altri un ladrone, per alcuni certe battaglie sono vinte, per altri non è la stessa cosa. Ecco perché la storia è continuamente rivista, strattonata da una parte e dall’altra, a seconda delle convenienze del momento.

Scrivendo di questi episodi, un altro mi è tornato alla memoria. Questo è avvenuto dove, il rispetto, la fratellanza, l’amore, la pace, dovrebbero essere di casa. Tante belle parole di cui molte persone si riempiono la bocca, un momento dopo del “scambiamoci un segno di pace”, la natura umana ha il sopravvento sul buonismo dell’anima. Don Sandro (nome di fantasia), non è il classico sacerdote che alberga nella mente di noi comuni mortali. Siamo stati abituati a vederli con le loro classiche tuniche nere che svolazzano a destra e a sinistra, mentre camminano velocemente lungo i corridoi delle panche della chiesa. Dismessi i parati dei rituali cristiani, lo si poteva scambiare come una qualsiasi altra persona. Pur essendo un uomo-prete di vasta cultura non disdegnava la compagnia di persone meno colte di lui, aveva per tutti una parola di conforto e di speranza. Mi ricordo quando fu inviato dal Vescovo, quale suo primo incarico ufficiale, in un paesino a mezza collina, dove lì trovò una situazione non troppo confortante. Non solo erano pochi i fedeli che frequentavano la chiesa, ma l’edificio stesso, era quasi abbandonato all’incuria del tempo. E’ il caso proprio di dire che si rimboccò la tunica, invece delle maniche, mettendosi al lavoro per ristrutturare le piccole chiese del paese. Il tempo era passato e lo avevo perso di vista sennonché, un comune amico, me lo fece ritrovare prima su Facebook e poi su Skype, grazie a queste tecnologie moderne. Ben presto ritornammo a rovistare nel cassetto dei ricordi. Capii dalle sue frasi l’amarezza e l’ingratitudine che lo aveva colpito dopo che era stato inviato in un altro centro più importante del primo, e sicuramente più vicino alla sua naturale cultura. Anche i preti sono esseri umani e forse, con me, ha sentito la necessità di confidarsi. Un giorno, in occasione di una lunga conversazione, mi parlava della sua amarezza provata quando venne a conoscenza che il parroco che lo aveva sostituito, era osannato e accolto a braccia aperte. E questo era avvenuto non solo dai praticanti della chiesa ma anche da coloro i quali, fino allora si erano professati atei o poco inclini alla frequentazione della comunità dei credenti. Mi rivelava che ogni sera, nel periodo più caldo dell’estate, riuniva tutti i bambini del paese e li accompagnava all’unico bar, per donargli un gelato.

“Ho fatto chilometri per andare a bussare ad ogni porta delle istituzioni, per trovare i finanziamenti che mi permettessero di ricostruire le chiese ormai rese quasi inagibili dall’incuria. Ho cercato di restaurare i vecchi quadri, che le antiche popolazioni, a costo di enormi sacrifici ci hanno lasciato”. Mentre elencava le cose che aveva fatto per la casa di Dio, si sentiva nella sua voce la tristezza e l’amarezza. Era un attimo, subito dopo prendeva il sopravvento il suo ministero di inviato da Cristo e aggiungeva: “Dio queste cose le sa”.

Con il nostro comune amico, Roberto, quando un giorno lo andai a trovare, parlammo anche di Don Sandro. Fu in questa occasione che scoprii il sui vero carattere altruista. Questa dote dovrebbe essere alla base di ogni essere umano, ma soprattutto di coloro che abbracciano la missione di portare la “parola di Dio” sulla terra.

Era sempre lui – parole di Roberto – che prendeva la propria auto, comprata più grande appositamente, per accompagnare i bambini a scuola e poi andava a riprenderli perché il servizio pubblico non coincideva con la loro uscita dagli istituti. Se i ragazzi avevano necessità di telefonare prestava loro, il suo cellulare. Andava incontro ad ogni richiesta se i ragazzi volevano adoperare la sua macchina fotografica o la cinepresa o il suo PC. Correva per ogni necessità della sua parrocchia, correva per una parola di conforto, correva per aiutare i più bisognosi, correva …. correva…. correva….

E quando lui è stato chiamato dal vescovo per essere trasferito in una nuova parrocchia, i paesani hanno ….. corso sul carro dei vincitori……

“Ormai sono cose passate, ti volti indietro nella vita per capire se e quando hai sbagliato, ma se questa è la prova che Dio mi vuole dare, sia fatta la sua volontà”, era la conclusione ottimistica e di pace di Don Sandro.

Anche tra i ministri del culto ci sono quelli, e sono in molti purtroppo, che si dimenticano delle vere regole di S. Francesco, della carità cristiana che predicano…. e l’egoismo, il solipsismo, gli interessi personali hanno il sopravvento su tutto.

E la vita si fa ancora più triste e viene voglia di voltarsi verso altri lidi, verso altre speranze, verso altro…. per non subire le delusioni molte volte create per ignoranza popolare…. per grettitudine….

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