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1 marzo 2012

Mandanici nei ricordi di Carlo di Salvo Rap

Ingrandimento immagineAbbiamo avuto il piacere di leggere il lungo diario personale di Carlo di Salvo che ha inviato al nostro sindaco di Mandanici Armando Carpo. Carlo è nipote della signora Concettina Rap, recentemente scomparsa, e dell'ing. Agatino Ricciardi deceduto a Palermo il 9 maggio del 1943 durante l'ultimo bombardamento alleato che colpì quella Città.

Si resta entusiasti nella lettura, che solo apparentemente sembra un diario, di una pagina di storia che ha interessato l'Italia e le sue colonie d'oltremare. Il nostro autore nel suo lungo peregrinare è stato pure a Mandanici e ci è sembrato giusto nei confronti di quanti guardano questo sito di proporre Mandanici come visto da un ragazzo di soli quindici anni nel lontano 1948/1949

Durante le feste natalizie del 1948 mamma prima di partire per l’Eritrea volle andare a trovare la zia Tittì a Mandanici in provincia di Messina, questo paesino è arroccato a 400 m. s.l.m. sul versante ionico dei monti Peloritani, non vedevamo l’ora di abbracciare zia Tittì e di conoscere la mia cuginetta Maria Cesara. Ai primi di gennaio del ’49 io e mamma partimmo in treno per Messina dove per una notte fummo ospiti della zia Giovanna Grill in viale S. Martino la quale ci accolse con la sua innata affettuosità, la sera io andai presto a letto perché l’indomani mattina per tempo dovevamo prendere la corriera per Mandanici, mamma e zia Giovanna invece rimasero a parlare, avevano tante cose da raccontarsi dopo i nove anni di lontananza nostra dalla Sicilia, ricordo la bellezza e l’eleganza di zia Giovanna Grill nonché la sua grande affettuosità; all’indomani partendo dal piazzale della stazione con la corriera iniziammo il viaggio verso Mandanici, allora ancora non esisteva l’autostrada per Catania, bisognava quindi percorrere la statale 114 la quale attraversava tutti i paesi del litorale ionico riducendosi spesso ad anguste strettoie, paesi come Tremestieri, Galati Marina, Giampilieri, Scaletta Zanclea, Alì Terme ed infine Roccalumera si sviluppano tutte lungo il litorale ionico, in esse la corriera spesso si fermava per fare scendere o salire passeggeri, per cui era un vero ferma e riparti che allungava di molto il tempo, tuttavia si godeva anche la splendida vista dello stretto di Messina con la visione di tutta la costa calabra che a me ed a mamma ci ricordò i viaggi di andata e ritorno per mare dall’Eritrea. Giunta a Roccalumera la corriera lasciò la statale 114 per salire verso Mandanici, eravamo in gennaio ed il tempo era un po’ inclemente, quella strada comunale mi fece ricordare i tornanti dell’Eritrea, come essi si arrampica lungo i costoni delle montagne che degradano verso il fiume Pagliara seguendone i tortuosi avvallamenti, le montagne come quelle del versante orientale dell’Eritrea sono cariche di endemiche piante di fichi- d’india, ma qui in Sicilia sono coperte da ulivi centenari che sono l’orgoglio di questa zona dei Peloritani, salendo lungo questa tortuosa strada s’incontrano vari paesi come Rocchenere, Pagliara, poco dopo questo paese sul versante opposto, al di là del fiume Pagliara vi è, arroccato su un costone quasi in bilico sul fiume, il paesetto di Locadi, che per essere raggiunto bisogna scendere verso il fiume attraversarlo su un ponte e risalire sul versante opposto dove la stradina muore nel paese, la corriera invece prosegue lungo i costoni dei monti salendo continuamente, superiamo il piccolo agglomerato di case di Badia e finalmente, superata una ennesima curva dove in una piazzola vi è una fontanella d’acqua di sorgiva, appaiono i primi agglomerati di Mandanici, dopo una curva a destra la corriera imbocca il lungo corso Mazzullo cuore della vita di questo paese, la corriera si ferma quasi al termine del corso sopra una piazzola adagiata ad un ponte. La zia Tittì e la piccola Maria Cesara erano ad aspettarci, quale grande emozione fu per mamma e me rivedere la cara zia che quando ero piccolo prima di partire per l’Africa mi teneva sempre in braccio, conoscere la mia cuginetta fu poi per me una vera sorpresa per la sua vivacità essendo cresciuta tra i monti dove avevano le proprietà di uliveti e vigneti posti in terrazzamenti sui costoni delle montagne, essendo questa la natura del territorio circostante, la casa della zia, forse la più bella come architettura di tutto il paese, è posta su un costone di roccia da cui si domina dall’alto tutta Mandanici, caso stranissimo ma l’architettura della villa Ricciardi di Mandanici mi richiamò l’architettura axumita per la sua muratura in pietra intervallata da strisce di rossi mattoni proprio come la chiesa copta di Nda-Mariam in Asmara. All’indomani del nostro arrivo a Mandanici la giornata apparve con un sole splendente, dalla villa della zia il paese mi apparve come un presepe con le sue case e le sue viuzze tutte un saliscendi arroccate sulla montagna, il campanile della chiesa che sovrasta tutti i tetti, mentre giù a valle dove scorre il fiume Pagliara le donne del paese andavano a lavare i panni usando le pietre del fiume come “lavaturi”, mentre mandrie di pecore e caprette si spostavano lungo il greto per raggiungere i loro pascoli. La zia e la piccola Maria Cesara ci vollero portare a fare una passeggiata verso le loro campagne, per raggiungerle bisognava proseguire a piedi per la strada da cui eravamo saliti a Mandanici, tutto attorno le montagne sono coperte da piantagioni di uliveti frammisti qualche volta con castagneti e noceti, costeggiammo il fiume Pagliara che, nel fondo valle, ci accompagna, mentre sui monti si vedevano pascolare piccole mandrie di ovini, ad un certo punto apparve un grande ponte in cemento armato che attraversa il fiume Pagliara che consente alla strada di proseguire sull’altro versante del fiume, noi però prima del ponte svoltammo a destra abbandonando la strada per risalire una valletta ombreggiata lungo un sentiero particolarmente ripido adatto solo ai muli, Maria Cesara sembrava uno scoiattolo che si arrampicava con straordinaria abilità tanto che io e mamma ne rimanemmo affascinati, si saliva per raggiungere una località in alto chiamata Caruso dove la zia aveva delle vigne poste su terrazzamenti a gradino lungo la montagna. Dall’alto si godeva un bellissimo panorama su tutta la vallata del fiume Pagliara, sul versante opposto del fiume si notava per un breve tratto la strada che una volta superato il ponte s’inerpica su per i monti Peloritani sottoforma di trazzera per scavalcarli e discendere poi verso Castroreale Terme sul mar Tirreno, questa strada sconosciuta alla quasi totalità dei siciliani in realtà è stata importantissima per la sua storia poiché da qui passarono gli eserciti di Greci, Romani, Arabi, Normanni, Aragonesi, Austriaci e nell’ultima guerra persino dagl’Inglesi, era evidente la sua importanza poiché per mezzo di essa si passa dal versante ionico a quello del Tirreno senza dover fare il lungo tragitto attraverso la estrema punta di Messina, purtroppo però questa strada è attualmente interrotta da frane per il suo completo abbandono. Praticamente la strada muore a Mandanici, il ché dona a questo paese la vera tranquillità bucolica essendo circondato da monti di uliveti centenari e pascoli di montagna, la sua origine è pastorale e risale al terzo secolo a.C. dovuta all’immigrazione calcidese, infatti il suo nome Mandanici deriva da quello di Mandranike datogli dai pastori greci che s’insediarono in questo luogo, infatti Mandranike in greco vorrebbe significare < mandria vittoriosa>, nel tempo assunse il nome definitivo di Mandanici. Molte volte durante i miei soggiorni a Mandanici ho avuto occasione di potere assistere alla creazione della ricotta in grossi “tini” di rame, dei formaggi, specialmente quelli con il pepe e di bere il caldo siero della ricotta che un pastore amico della zia e di Maria Cesara mi offriva ogni volta che lo andavo a trovare nella sua modesta abitazione annessa al recinto della mandria. In casa della zia Tittì a Mandanici feci la conoscenza dei prodotti che la terra di questo idilliaco paese offre: pomodori e fichi secchi, noci, castagne, vino, formaggi e soprattutto olio extra vergine d’oliva e pane fatto in forni a legna sotto forma di grosse pagnotte in grado di mantenersi morbido anche per settimane, su tavole di legno le salse di pomodoro si lasciavano essiccare al sole per farne estratto di pomodoro, come pure i fichi posti su incannucciati si lasciavano seccare al sole, la mattina la colazione era con pane di casa e latte di capra che a me ricordava tanto il latte selvatico di dromedario che avevo bevuto tra le tribù dei bassopiani eritrei, ma la leccornia di Mandanici sono le costicine di agnello sulla brace e le bruschette di pane fatto in casa strisciate con il pomodoro e con olio extra vergine d’oliva pepe e profumatissimo origano, olive sott’olio ed in salamoia nonché salami e salsicce con il seme di finocchio e verdurette selvatiche di montagna. Il primo soggiorno a Mandanici durò pochi giorni perché tra poco sarebbero finite le vacanze e mamma sarebbe dovuta ritornare in Eritrea, naturalmente dopo i vari preparativi per la partenza aveva ancora da godersi la sua mamma cioè nonna Giovanna che per la seconda volta doveva lasciare per ritornare in Africa.

CARLO DÌ SALVO RAP

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