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30 agosto 2011

Don Cesare di Giuseppe Loteta

Ingrandimento immagineGiuseppe Loteta fotografa con una sua poesia un personaggio particolare qual'era “don Cesare” che di cognome faceva Barbera e contestualmente riporta alla memoria una pagina nera per Mandanici. Don Cesare un tipo, uno strano tipo. Dopo una vita spericolata in giro per l'Italia, trascorse la parte rimanente a Mandanici diventando ben presto il bontempone per grandi e piccini. I ragazzini si divertivano ad essere utilizzati da don Cesare come cavie della stupidità infantile. Seduto su un sedile di pietra (bisòlu) con le spalle al muro e con un grosso bastone in mano faceva finta di addormentarsi (si faceva come diceva “u trummintuni”) mentre i bambini cercavano con tutte le loro forze di staccaglierlo dalle mani. Non appena il bastone era nel tiro giusto lo lasciava andare e i bambini rotolavano tutti giù per terra coinvolti in una risata collettiva. Lo stesso scherzo aveva pure una variante più schifosa. Infatti non appena i bambini provavano a tirare il bastone lanciava loro uno sputo che li “lavava” per bene. Era pure una specie di cantastorie che andava raccontando le sue storielle ora in un quartiere ora in un altro seguito dai bambini come il pifferaio magico. Non andò mai ad accompagnare nessun defunto al locale cimitero, si fermava sempre alla Chiesa della Trinità, scusandosi col dire che aveva paura della morte.

Giuseppe Loteta nel parlare di don Cesare parla pure del dolore che colpì tutta la Comunità e il nonno in particolare per la scomparsa nel nulla del nipote. Cesarino, suo nipote, che di cognome faceva Romano era nato a Mandanici l'8 luglio del 1922, partì giovanissimo per il fronte russo, non fece mai più ritorno morì a soli venti anni il 25 gennaio del 1943 durante la grande ritirata.

Ancora un grazie a Giuseppe Loteta per l'utilizzo di questo sito dedicato a Mandanici e alla sua Gente.

ANNI 40

Don Cesare era vecchio.

Coppola, bastone, barba bianca,

terrorizzava con suoni di gola

i bambini di Mandanici.

"Don Cesare, don Cesare",

fuggivano tra i vicoli

e lui: "quach, quach", ridendo.

Cesarino era giovane.

Riccioli neri e sorriso malandrino,

sguazzava nel torrente

al lavatoio delle donne.

Ma le donne non fuggivano,

le ingiurie e i sassi

raggiungevano l'intruso

come una promessa.

Poi Cesarino partì

E il nonno, la Russia lontana,

gli mise sottobraccio

due pani e una maglia di lana.

"Disperso", che cosa vuol dire?

Don Cesare, solo,

aspettò finché visse

il figliolo del suo figliolo.

Ma vana fu anche l'attesa

dei bimbi nei vicoli muti.

E la lapide sul piazzale

ora ha un Cesare tra i caduti.

Giuseppe Loteta