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28 Marzo 2021

Tratto in parte da Mandanici memorie da non perdere di armando carpo edizioni etabeta

Ricordi senza rimpianti 

Ricordo che...... 

   C'erano pure le mosche, tantissime, che si posavano ovunque, si libravano sul piatto pronto e molto spesso cercavano di contenderci il cibo. Quando qualcuna riusciva a rompere l'assedio e si tuffava nel piatto, con delicatezza la si toglieva e con altrettanta naturalezza si continuava a mangiare. Si provava ad ammazzarle durante le loro evoluzioni aeree cercando di acchiapparle stringendole tra le due mani e molto spesso si riusciva. Arrivò il ddt americano e la lotta alle mosche divenne più intensa, più scientifica, programmata e fruttuosa. Attaccate con il ddt abbandonarono le stanze chiuse e andarono vagando per le strade poggiandosi ora sugli escrementi, ora sulle carni che i macellai allora tenevano in bella mostra all'esterno delle loro macellerie.   

    Era un bel vedere le tante mosche appollaiate su quei pezzi di carne. Le numerose stalle presenti all'interno dell'abitato rappresentavano il luogo ideale dove depositare le uova in quantità industriale. Cacciare le mosche dal proprio corpo o dalla propria casa era diventata quasi una professione, tanto che a chi domandava l'attività lavorativa di un nulla facente si rispondeva con un po' di sarcasmo: caccia i muschi, per dire che non faceva proprio niente.

   Per non lasciarle sole e abbandonate a fare buona compagnia alle mosche c'erano i degni compari rappresentati da pulci, pidocchi e cimici. L'unica cosa di positivo era che potevano considerarsi veramente democratici in quanto non guardavano in faccia nemmeno i benestanti, per loro qualsiasi testa, pensante o meno, era una immensa prateria ove trovare sostentamento per loro e per la loro numerosa, infinita prole.

   Le due unghie dei pollici delle due mani rappresentavano la mannaia per le poveri pulci e i piccoli pidocchi. Il risultato positivo era accompagnato da un leggero clic da schifo. Un pettine abbastanza stretto, una tovagliola bianca, e iniziava la lotta ai pidocchi o linnini (lendini). Appena scovati dal pettine e pervenuti sulla bianca tovaglia restavano stritolati fra le famose due dita. Pure il petrolio e il ddt fu utilizzato per la lotta contro questi piccoli mostriciattoli. 

      Molti di noi andavamo pure ad imparare un mestiere nelle ore libere dalla scuola. Facevamo apprendistato e così c’era chi andava dal fabbro ferraio don Peppino Spadaro, detto don Peppino Barbera, che esercitava la sua professione con capacità in un angusto tugurio di contrada Spafaro, che utilizzava pure come abitazione, chi il falegname da don Carmelo Bonanno o Giovannino La Torre o Giovannino Rao, chi l’elettricista con don Peppino Lenzo che faceva pure l’impiegato comunale addetto ai servizi di stato civile e  demografici, altri i muratori da don Santo Spadaro o da don Peppino Lenzo, altri i barbieri da Nicola e Pippo Caminiti detto strippuni emigrato più tardi in Australia ove inizialmente ci si limitava a scopare per terra, a fare qualche saponata e a lavare i pennelli. I barbieri non si limitavano solo al taglio dei capelli all’umberta e a radere la barba ma facevano pure i cerusici. Con le sanghette (sanguisughe) facevano i famosi salassi facendo uscire il sangue dalle spalle e da altre parti del corpo delle persone che ricorrevano alle loro cure in quanto rappresentava per allora l’unica terapia per una serie di affezioni. Altro metodo utilizzato in caso di particolari bisogni erano le famose vintusati. Si prendeva un soldino, lo si avvolgeva in pochi centimetri di stoffa creando una forma conica, lo si imbeveva di olio, lo si accendeva, lo si posizionava sulla parte del corpo dolorante, lo si copriva con un bicchiere. La fiammella si spegneva non appena veniva a mancare l'ossigeno, la pelle si tirava verso l'alto. I risultati sembravano per quei tempi ottimi.

     In molti, anzi tutti, aiutavamo le nostre famiglie nella raccolta delle olive che allora si faceva esclusivamente raccogliendole da terra una dopo l'altra e depositandole in dei panieri.

     Non appena gli alberi di olivo erano stati assoggettati all'abbacchiatura c'era la consuetudine di autorizzare persone estranee a fare la cosiddetta cuccìa (con l'accento sulla i). Si andava a caccia di ogni singola oliva e a fine sera si riusciva perfino a racimolarne una decina di chili. Per la raccoltà delle olive veniva molto utilizzato il pustufé, nel senso che un giorno si andava a raccogliere le olive presso una famiglia ed un altro giorno si ricambiava. Una giornata di lavoro di un maschio addetto all'abbachiatura valeva quello di due donne che raccoglievano le olive. Se poi si mettevano a disposizione anche gli animali da soma il conteggio cambiava ancora.

    D'altronde i soldi per pagare non c'erano, per cui questo baratto di manodopera si rendeva indispensabile strumento.

   Non c'era nemmeno il telefono, l'unico posto ove si poteva telefonare era al tabacchino di Carmelo D'Amico posto lungo il Corso Mazzullo, presso l'attuale tabacchino, oggi gestito da Carmelo Palella. Bisognava prenotare la telefonata, specialmente per l'estero, e il buon gestore, che era privo di una mano avendola persa nella seconda guerra mondiale, faceva di tutto per darci la possibilità di farci sentire con i nostri cari emigrati al di là dell'oceano.

   Prima del telefono c'era solo l'ufficio postale che utilizzava il telegrafo per la ricezione o l'invio di telegrammi con tutte le difficoltà connesse.

    L'assistenza sanitaria era affidata all'unico medico condotto che era il dott. Oreste Mastroeni, fascista tutto d'un pezzo, in qualche caso ha fatto pure da ostetrico nei casi più gravi con scarsi risultati. Le piccole ferite da taglio venivano curate con il fai da te, con una procedura che arrivava dai tempi lontani. Bastava fare la pipì sulla ferita così si sarebbe disinfettata oppure con foglie di nepetella. Per i casi più gravi irrisolvibili si parlava di duluri matruni dopo lancinanti dolori, che potevano durare mesi, la gente moriva senza un perché. Adesso possiamo immaginare che si trattasse del male del secolo, il tumore che, anche oggi, nonostante i grossi passi avanti della medicina, miete tante vittime.