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12 Giugno 2021

Pagina di storia locale vissuta in prima persona.  

Un mea culpa del quale ancora oggi chiedo scusa, l'errore è nato per la grossa e crassa ignoranza di araldica e per la presunzione che è il pane quotidiano dei giovani. Avremmo potuto e dovuto fare di meglio, certo, mi consolano le parole di don Santo Spadaro quando diceva ogni smennu è opera d'arti. Questa pagina di storia locale la riprendo pari pari dalla monografia Mandanici memorie da non perdere di Armando Carpo edita da Etabeta.

    Lo stemma del Comune appare nel volume sesto delle "antiche imprese dei Comuni della provincia di valle di Messina" anno 1819 che si trova nell’Archivio di Stato di Palermo. Lo stesso è stato riconfermato e concesso al Comune con decreto del Presidente della Repubblica del 27 ottobre 1983. Lo stemma in tutte le sue componenti, anche se con ordine e numero diversi, risulterebbe derivato dall’emblema ufficiale del regno delle due Sicilie, periodo borbonico, e quindi ricollegato araldicamente alle più importanti dinastie che si sono succedute in Sicilia.

   Un timbro a secco riproducente lo stemma del 1819 l'ho trovato pure identico in un documento del luglio 1788 reperito presso l'archivio diocesano.

  In effetti lo stemma con la testa dell'aquila coronata appartiene al periodo ricadente sotto il Regno di Sicilia che va dal 1734 al 1816. Tuttavia non capisco come il nostro stemma con la scritta Universitas sia simile agli stemmi dei sovrani succedutesi dal 1734 al 1816 solo per l'aquila e per qualche altro dettaglio. Con il successivo avvento del Regno delle due Sicilie l'aquila coronata e la corona furono  sostituite da una nuova corona  reale e da altre sostanziali modifiche all'interno dello scudo.

  I Comuni dovevano utilizzare il nuovo stemma d'ottone con l'obbligo di aggiungere nel contorno del suggello un segmento ellittico con la propria denominazione (Decreto n.12 del 9 aprile 1818). Il Comune di Mandanici tramite l'Intendente provinciale ne avanzava richiesta di rilascio al Segretario di Stato Ministro Cancelliere dietro il pagamento della somma di ducati 2,40. Non era pertanto possibile farsi fare un suggello a titolo personale.

  Successivamente lo stemma del Comune di Mandanici sin dal 17 marzo 1861 fu identico a quello del nuovo Stato unitario per essere modificato nove anni dopo il 4 maggio 1870 e così rimase fino al 19 giugno 1946.

  Durante il lungo intermezzo fascista i Municipi furono obbligati ad inserire il fascio littorio all'interno dei loro timbri ufficiali. In quelli di Mandanici non risulta che sia stata apportata modifica alcuna. Finito fascismo e  regno d'Italia si arrivò al 5 maggio 1948 con l'utilizzo indebito (Art. 57 Regio decreto 7 giugno 1943, n.652, circolare ministero interno 23 novembre 1955 n.15100, circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri n.15669 del 31 gennaio 1968, circolare della Prefettura di Messina n.1164/22.2 del 26 febbraio 1968) per molti anni a seguire  dell'emblema della Repubblica Italiana con l'aggiunta della scritta "Comune di Mandanici".

  Quando nel 1968 ci si accorse dell'abuso, su sollecitazione prefettizia, l'Amministrazione, ancora senza autorizzazione alcuna, adottò con una semplice delibera consiliare lo stemma con l'aquila regale ritenendolo, erroneamente, solo esclusiva cosa nostra, in effetti si trattava della figurazione dello scudo Borbonico.

  Il timbro originale in ottone con l'aquila regale è stato gentilmente prestato dalla famiglia Argiroffi all'allora Sindaco Fasti alla fine degli anni sessanta giusto il tempo per farne  copia e poi restituirlo, cosa che è stata fatta. Il nuovo timbro comunale, ricavato da quello in possesso degli Argiroffi, fu approvato con delibera n.115 del 3 ottobre 1968 e fu utilizzato fino al 27 ottobre 1983 con l'errore tipografico della testa dell'aquila spiegata e coronata rivolta verso destra invece che verso sinistra per chi guarda, come pure tutto lo scudo subì la stessa inversione.

  Molto probabilmente Carlo Argiroffi, che fu Sindaco di Mandanici dal 1820 al 1822, dopo la modifica del Regno di Sicilia in Regno delle due Sicilie e quindi con l'obbligo della conseguenziale modifica dello stemma, ritenne cosa giusta portare a casa il vecchio timbro inutilizzabile facendolo così acquisire al patrimonio familiare. Non si ritiene plausibile l'ipotesi suggerita da qualcuno del probabile acquisto in proprio di un timbro di dominio dell'Ente da parte del Sindaco in carica.

  Forse, comunque sia stato, è un bene perché non è andato perduto come quello successivo del Regno delle due Sicilie pure in ottone e identico per tutti i Comuni del Regno. Forse è andato a finire al Comune di Palmi unitamente a tante altre donazioni a favore di quella Istituzione.

  Lo scudo  dello stemma della nostra Realis Universitas Mandanicensis, utilizzato durante il Regno di Sicilia dei Borbone, è diviso in tre parti uguali mediante due linee verticali (interzato in palo).

  A sinistra, primo palo, diviso da una linea orizzontale (troncato), si trova: nella parte superiore su sfondo azzurro (colore del cielo simboleggiante le idee che vanno in alto) quattro torri d’argento, due e due, murate di nero con merlature quadre (la torre in araldica è contrassegno d’antica e cospicua nobiltà, poiché nessuno fin dai tempi remoti poteva fabbricare torri se non era illustre e potente famiglia) con chiaro riferimento al regno di Castiglia-Leone e di Sicilia-Aragona; nella parte inferiore: nel primo partito d’argento con una bordura di verde caricata da sei bisanti di campo  (figure tonde somiglianti a monete d’oro o d’argento) e nel secondo partito sbarre alternate di nero e d’oro di dieci pezzi come per il ducato di Borgogna.

  Nel centro, secondo palo, diviso in tre parti (interzato in fascia), troviamo: a) nella parte alta, divisa a sua volta da una linea verticale passante per il centro, delle linee che dividono lo scudo in quattro parti uguali (inquartato in decusse) e un leone rosso rampante su fondo d’azzurro e d’argento (il leone il più importante animale d’ogni blasone, simboleggia forza, grandezza, comando, coraggio) molto verosimilmente rappresenta il regno del Leon, oppure il leone che Messina portò nel suo stendardo dopo i vespri siciliani con il motto fert leo vexillum messanae cum cruce signum. Sempre nel secondo palo, sulla sinistra, del leone rampante troviamo la Croce di Sant'Andrea con chiaro riferimento alle case di Aragona e di Svezia b) nella parte inferiore, su sfondo oro, tre gigli azzurri, due e uno e, su sfondo rosso, tre gigli d’argento, due e uno (il giglio è simbolo di potenza, sovranità e da epoca remota il simbolo della casa degli Orleans, e nel numero di tre era adottato dal Delfino erede al trono di Francia perciò vanno riferiti ad una componente d’origine celtica o francese della quale i Borbone ne erano discendenti diretti).

  A destra, terzo palo, di colore oro, si trovano sei tortelli di verde, uno, due, due, uno (simbolo di ricchezza) attribuibile allo stemma dei Medici.

   Per lo stesso spiccicato, identico stemma del Comune di Monforte San Giorgio (ME) il Ministero dell'Interno, su parere del Commissario della Consulta araldica, così scriveva nel 1894 al Prefetto di Messina per darne comunicazione al Municipio: la domanda per il riconoscimento di uno stemma trovato impresso su atti comunali del 1815 e 1816 non può essere accolta perchè lo stemma medesimo non è già un'antica insegna del comune ma bensì lo scudo borbonico che ha un interzato in palo il primo troncato di Borbone Angiò e di Braganza, il secondo di Castiglia-Leon e di Sicilia-Aragona e sotto di Farnese, il terzo dei Medici e su tutto di Francia Borbone.

  Questo per dire che siamo in buona compagnia nel ritenere erroneamente di avere trovato nel passato lo stemma identitario mentre in effetti era solo lo stemma statale, nello stesso tempo ci conforta l'aver trovato una lettura quasi esaustiva dello stemma fatta direttamente dalla Consulta araldica alla quale ci rimettiamo con la dovuta umiltà.

 Non si faticherà a credere che la vanità e la presunzione di pochi dotarono il Comune di uno stemma la cui lettura legata al territorio resta molto discutibile e non fornisce elementi utili che rendano leggibile la storia del paese, siamo rimasti stupidamente affascinati e abbagliati dagli elementi decorativi che ci davano la sensazione di aver fatto parte attiva di un contesto storico molto più grande di noi. Nel 1983 si poteva cogliere l’occasione per ridisegnare e dotare il Comune di un nuovo stemma che fotografasse al meglio l’identità del paese e per distinguersi da quegli altri Comuni siciliani che hanno adottato, pure loro, uno stemma quasi in fotocopia. Chi scrive questa monografia e Ciccio Misiti sono i responsabili diretti di questo errore imperdonabile, e dire che eravamo stati messi in guardia dalla stessa Presidenza del Consiglio dei Ministri sull'opportunità di rivedere il bozzetto prodotto ma di fronte alla volontà di non volere apportare modifiche la Presidenza ci concesse lo stemma e il Gonfalone così come richiesto. Magari avranno detto contenti voi contenti tutti. A distanza di anni avrei ben sanato questa anomalia con la costruzione di uno stemma araldicamente corretto con il monte Cavallo e con il Monastero di Badia stilizzati, entrambi elementi che avrebbero narrato ed espresso compiutamente i contenuti identitari della nostra Comunità.

a.c.